Intervistato da Giovanni Minoli durante una trasmissione di alcuni anni fa, mi sovviene l’immagine dell’Avv. Giovanni Agnelli, famoso (anche) per essere stato in gioventù un assiduo frequentatore ed ammiratore del genere femminile, nel rispondere ad una maliziosa domanda del giornalista sul suo rapporto con le donne ed alla sua richiesta di raccontare ai telespettatori un qualche aneddoto, diciamo così, della sua vita galante.
Dopo una riflessione durata una frazione di secondo e senza alcuna esitazione, l’indimenticato Avvocato rispose: “Veda, esistono due tipi di uomini: quelli che parlano di donne e quelli che parlano con le donne. Di certo io non appartengo alla prima categoria”. Quindi si tacque, continuando a guardare il suo interlocutore come a volerlo riprendere per avergli posto tale domanda.
Per gli strani giochi della memoria, la ricorrenza dell’ 8 marzo mi ha fatto ricordare quello spezzone di trasmissione e questa perla di stile, sintesi ed intelligenza nelle espressioni di Giovanni Agnelli. Pensi poi ai fiumi di parole e di banalità che si scriveranno oggi sulla condizione della donna ed alle migliaia di dichiarazione ed interventi, spesso ed in particolare da uomini.
Subito dopo, vien da pensare che se davvero maschi e femmine – il polically correct impone anche i transgender? – fossimo capaci di parlare tutti i giorni con le donne invece che di donne in maniera saltuaria o nelle feste comandate, probabilmente non ci sarebbe bisogno di celebrare la ricorrenza dell’8 marzo. Dato poi che recentemente un certo Crozza ci ha insegnato che pure i vegetali soffrono e sono capaci di piangere, immagino già la felicità delle mimose.