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Perché contesto i filosofi dell’integrazione

Molenbeek non è una periferia di Bruxelles, come ho più volte sentito dire in questi ultimi giorni, da quando tutti sono diventati esperti e cittadini di Bruxelles. Molenbeek è una delle 19 municipalità che compongono la Région de Bruxelles-Capitale, ma è più vicina alla Grande Place di quanto non lo sia il quartiere comunitario dove hanno sede le Istituzioni.

A Bruxelles ho un dentista libanese, l’estetista marocchina, l’ex fidanzato berbero, il “Kebbabaro” preferito egiziano, la professoressa di arabo siriana, e svariati amici e colleghi di origine araba, quindi nel mio piccolo mondo ho vissuto un po’ di integrazione e onestamente penso che l’integrazione non è un vocabolo a senso unico. Mi spiego meglio. Continuo a sentire frasi del tipo “non li abbiamo saputi integrare”: questo può essere vero, se un arabo arriva da solo a Cetraro (il mio Paese in Calabria) è necessariamente la comunità che deve integrarlo, e in quel caso se la comunità lo respinge possiamo dire “non l’abbiamo saputo integrare”.

A mio parere, invece, in una città multiculturale come Bruxelles, chi si è voluto integrare si è integrato, perché in fondo anche io che sono italiana mi sono dovuta integrare, perché quando ho iniziato a lavorare a Bruxelles 19 anni fa non conoscevo nessuno. Inoltre secondo la teoria di quelli che chiamerò i “filosofi dell’integrazione“, chiunque non si senta integrato (arabo, indiano, giapponese o americano che sia) in qualsiasi parte del mondo, sarebbe giustificato a imbottirsi di tritolo e a fare stragi, o a impugnare un machete e prendere a picconate qualcuno, tanto ci sarebbe sempre il filosofo di turno, ospite in TV, pronto a difenderlo.

Se pensiamo ai poveri minatori italiani, quelli arrivati in Belgio quando ancora non c’erano i dibattiti televisivi sull’integrazione, non hanno avuto inserimento facile nella società dell’epoca (ho avuto la fortuna di conoscerne qualcuno), e quindi secondo i “filosofi dei salotti televisivi” si sarebbero dovuti trasformare in terroristi per la mancata integrazione. Invece no, i minatori italiani si sono spaccati la schiena, hanno lavorato sodo, e ci sono morti nelle miniere belghe. Quindi ai signori che giustificano gli atti di terrorismo con la mancata integrazione, suggerisco di farsi un giro a Marcinelle e di chiedere ai pochi ex minatori ancora in vita, se gli è mai sfiorato il pensiero di compiere delle stragi.

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