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Che cosa penso di Apple-Fbi, banda larga e net neutrality. Parla Nicita (Agcom)

Consumatori e concorrenza, reti e innovazione digitale, pluralismo e media, i diritti nell’ecosistema digitale: questi i macro-temi che il commissario Agcom Antonio Nicita, professore di Politica economica alla Sapienza di Roma, ha raccolto nel suo libro #questianni (si scarica gratutitamente dal sito www.antonionicita.it). Uno spunto per discutere col commissario dei temi “caldi” del panorama digitale.

Prof. Nicita, subito una domanda di attualità: che cosa pensa del braccio di ferro Apple-Fbi sui dati dell’attentatore di San Bernardino? E’ corretto che Apple si rifiuti di cedere i dati di qualunque utente, anche se sospettato di reati gravi, in nome della privacy?

Se guardiamo la questione dal punto di vista dell’utente, direi: Brava Apple che difende il diritto alla protezione del dato personale di chi usa gli iPhone. Ma potremmo anche chiederci se Apple sta tutelando davvero la privacy dei consumatori o il suo ecosistema di azienda privata. La questione qui è se sia giusto, o comunque se noi come cittadini e consumatori siamo disposti ad affidare a un soggetto privato, che quindi ha dei suoi interessi legati anche al profitto, il compito di custodire e proteggere i nostri dati. L’azienda privata Apple è più legittimata a far questo rispetto a un’istituzione pubblica o alle forze dell’ordine, non dovrebbe sempre prevalere il diritto dell’utente, anche quando i suoi dati sono utilizzati senza consenso per finalità promozionali?

Lei tocca nel suo libro questo tema quando tratta di cybersecurity e del trade-off tra sicurezza collettiva e privacy individuale, forse poco approfondite nella direttiva europea su cui è stato raggiunto l’accordo a dicembre?

Sono temi su cui è necessario continuare a confrontarsi. L’accordo raggiunto tra Parlamento e Consiglio d’Europa pone al centro anche una cooperazione strategica di scambio di informazioni e best practice sulla cybersecurity, oltre alla protezione dei dati, ma l’enforcement richiede un’elevata armonizzazione europea, funzionale anche a non alterare il level playing field concorrenziale fra le imprese dei diversi stati membri. Oltre al trade-off tra libertà (economica e di espressione) e ai vincoli alla sicurezza, va considerato il tema del limite della discrezionalità degli interventi del governo. Può sembrare un paradosso, ma standard sempre più elevati di sicurezza possono tavolta indurre il crimine e il terrore a specializzarsi con modalità tecniche sempre più difficili da tracciare e indagare, quindi da prevenire. Per questo la cybersecurity deve evolvere in cyberintelligence: strumenti idonei a intercettare e prevenire nuove modalità di attacco alla sicurezza.

Un altro tema oggi alla ribalta è quello della classificazione dei servizi telecom, in particolare la banda larga, come utility. La Fcc negli Stati Uniti lo ha fatto, in nome della net neutrality, scatenando la reazione delle aziende Tlc. Il dibattito è poi passato alla Gran Bretagna. Lei che cosa ne pensa, le telco sono utility?

Il tema di considerare le telecomunicazioni come utility e come commodity torna ciclicamente nel dibattito e nella letteratura di riferimento, da almeno trent’anni. Se da un punto di vista economico la rete di telecomunicazione può essere oggi assimilata a una commodity, dal punto di vista regolatorio non lo è affatto. La rete di telecomunicazione non è un tubo che trasporta byte come potrebbe trasportare gas o acqua: è un sistema molto complesso e sofisticato, in cui gli elementi software contano sempre di più, dove cioè acquisiscono un ruolo essenziale la gestione del traffico, la sicurezza, l’integrazione fisso-mobile-comunicazioni M2M, e così via. Le regole non possono guardare alle reti di telecomunicazioni come a dei tubi, perché devono tenere conto delle nuove questioni sollevate dall’integrazione di fisso, mobile, M2M, Internet of Things e altre tecnologie.

A proposito di utilizzo delle nuove tecnologie: l’edizione 2016 del Digital Economy & Society Index (DESI) della Commissione europea ci posiziona tra gli ultimi pur se in crescita. Il Piano Ultra-banda larga ci aiuterà a fare il salto? E’ d’accordo col modello dell’intervento diretto per le aree a fallimento di mercato?

Il quadro del BUL va apprezzato e sostenuto, anche per la strategia prevista per i Cluster C e D e l’intervento diretto dello Stato: mi sembra giusto che se lo Stato mette i soldi mantenga poi una forma di proprietà sulla rete. Inoltre la presenza dello Stato detta tempi più certi per l’implementazione e garantisce che avvengano gli investimenti. L’Italia ha bisogno della banda ultra-larga, in ogni suo borgo e piccolo paese, perché la ricchezza della nostra economia è anche nei piccoli centri. I nostri borghi sono un concentrato di attività artigianali, artistiche, economiche e di patrimonio culturale che la banda ultra-larga può enormemente valorizzare. Io dico di sì, il Piano Ultra-banda larga ci farà fare il salto e recuperare posizioni.

Che cosa pensa del ruolo di Enel nel Piano?

Mi sembra opportuno e strategico per Enel sfruttare le sinergie con gli smart meter e non vedo problemi nel ruolo di Enel nel piano Ultra-banda larga, sempre con la supervisione delle autorità competenti, dall’Agcom all’Autorità per l’Energia e il gas.

E del ruolo di Telecom Italia che cosa pensa? In Uk il regolatore Ofcom ha subito molte pressioni dagli operatori rivali perché imponesse lo scorporo tra BT e la divisione reti Openreach. Da noi sarebbe necessario qualcosa di simile?

Se guardiamo alla concorrenza infrastrutturale il problema è diverso per l’Italia. Il nostro mercato rispetto a quello britannico, da questo punto di vista, è più aperto: sulla possibilità per i concorrenti di fare infrastrutturazione io non vedo ostacoli, da noi ai concorrenti sono garantiti l’accesso al cabinet e la condivisione del cabinet sul sub-loop. Dove invece io vedo un problema su cui intervenire presto è la qualità della rete di accesso: in pratica, i ritardi e i disguidi nei passaggi da un operatore a un altro. Troppi KO, è sulla qualità che manca una vera equivalence con i concorrenti. Infatti abbiamo già chiesto a Telecom di mandarci una proposta su come intende rimediare rafforzando il modello di equivalence, proposta che ora stiamo valutando e su cui ci esprimeremo tra qualche mese.

Che cosa pensa invece della questione dello spettro, in particolare del refarming dei 700 MHz? Il passaggio dalle emittenti Tv ai servizi di banda larga mobile è stato osteggiato da alcuni broadcaster.

L’orizzonte del rapporto Lamy va bene per il paese, ma bisogna arrivarci pronti e per tempo. Penso che occorrano subito dei tavoli con il Mise per chiarire bene gli aspetti sia tecnici che economici, perché va prevista una forma di compensazione per i broadcaster. L’Italia rispetto ad altri paesi europei ha appena effettuato un costoso refarming ed è ovvio che le società della Tv resistono a un secondo processo così ravvicinato nel tempo: passare i 700 MHz alla banda larga mobile è giusto, ma dobbiamo trovare una soluzione non penalizzante, se non incentivante, per le emittenti. Io non ho dubbi che le nuove frequenze servano: laddove c’è offerta, si sviluppa la domanda. Magari non accadrà nell’immediato futuro, non sarà nel 2020, ma certamente entro il 2025 i servizi mobili saranno diffusi in tutta Italia. Sulle interferenze invece interverrei subito, con un coordinamento con i nostri paesi confinanti.

Prof. Nicita, come commissario Agcom, se dovesse indire lei oggi una riunione dell’authority, quali argomenti metterebbe in agenda come top priority?

Il primo sarebbe proprio l’avvio di un percorso chiaro per il refarming dei 700 MHz e le relative procedure tecniche nell’orizzonte del rapporto Lamy. Poi la qualità dell’accesso alla rete di Telecom Italia. Terzo, definirei una policy che dia sempre più potere e controllo al consumatore sul tipo di servizio che riceve, con trasparenza e qualità. Tutto il processo della bolletta 2.0 va in questa direzione. Quarto, sempre in tema di spettro, chiederei l’approvazione di un quadro regolatorio sullo sharing dello spettro licenziatario e non, per la condivisione volontaria della capacità di spettro inutilizzata in ottica M2M e 5G. Infine, avvierei una riflessione sulle regole per l’utilizzo delle piattaforme di Internet che vada oltre i temi della net neutrality e consideri la questione della gestione del traffico sulla rete.

Perché, la net neutrality non è un principio valido?

Sì ma non abbraccia ogni tematica. Non esiste solo il rapporto tra consumatore e telco, c’è anche quello tra consumatore e Ott e, ovviamente, tra telco e Ott. Il regolatore deve tenerne conto. Nella bolletta 2.0 che entra in vigore quest’anno, per esempio, vengono date al consumatore informazioni chiare e trasparenti che gli semplificano la scelta consapevole di ciò che è meglio per lui. In prospettiva, come ho scritto anche nel mio blog e nel libro, queste informazioni trasparenti potrebbero essere estese dal lato della net neutrality introducendo l’obbligo per gli operatori di rivelare e rendere chiara non solo la velocità media ma anche alcuni parametri del traffic management, con indicazione dei servizi limitati o bloccati e dei rallentamenti. Il consumer empowerment mi sembra la chiave di volta.



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