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Come procede la guerra al denaro contante

Accusato da Alberto Asor Rosa di misoneismo, Guido Ceronetti qualche mese fa aveva definito “scellerata” la scelta, preannunciata dalla Danimarca, di bandire da qualsiasi tipo di transazione economica, anche la più minuta, il denaro contante.

Ignoro se il 1° gennaio 2016 – la scadenza indicata nell’annuncio – la draconiana misura sia stata effettivamente messa in atto. D’altra parte, se quella danese sia un’idea scellerata come sosteneva Ceronetti oppure una scelta illuminata è e resterà, almeno per un po’, argomento di discussione. Chi, con variabile grado di fanatismo pratica il culto della lotta all’evasione fiscale e al riciclaggio come valore assolutamente prioritario, va in visibilio all’idea che tutti siano costretti a utilizzare qualche forma di denaro elettronico anche per comprare il giornale (operazione, peraltro, sempre più rara). Chi, come Ceronetti, difende una concezione meno monocolore e monotona della vita percepisce come un incubo l’idea che qualsiasi atto non gratuito della nostra esistenza sia condannato a lasciare traccia in qualche archivio elettronico. Sul piano pratico, è assai probabile che l’eventuale bando assoluto del contante avrà come effetto la diffusione del baratto e di forme di denaro privato: in una parola, darà ulteriore impulso a quella tendenza di ritorno al Medioevo che è già da tempo sotto gli occhi di tutti: in sostanza, l’esatto contrario di quel che che gli zelatori dell’abolizione dei contanti si ripromettono, la compiuta realizzazione della modernità (un tempo si sarebbe parlato di eterogenesi dei fini…).

Lasciati momentaneamente da parte questi dilemmi epocali, va riconosciuto, in linea di fatto, che la guerra al denaro contante è in corso da tempo, ed è, almeno in superficie, una guerra molto popolare. Basta riandare alle roventi polemiche scatenate, non molto tempo, dalla notizia che il governo italiano intendeva alzare da 1.000 a 3.000 euro il valore massimo delle transazioni regolabili in contanti; oppure agli elogi all’impegno del governo Monti, solo quattro anni fa, nella direzione esattamente opposta. Ma la guerra, in realtà, dura ormai da svariati decenni.

La frontiera più recente riguarda il “taglio” delle banconote. Peter Sands, ex capo della Standard Chartered, in uno studio effettuato per la Harvard Kennedy School, ha sostenuto che bisogna togliere dalla circolazione le banconote da 500 euro, 100 dollari e perfino 50 sterline (il taglio più elevato dei biglietti di banca nel Regno Unito). Nello stesso senso (con riferimento solo ai 500 euro, per evidenti ragioni di etichetta) si è espresso Benoît Cœuré, membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea. Qualcuno si è poi ricordato e debitamente scandalizzato del fatto che in Svizzera circolano banconote da 1.000 franchi. Sands è stato elogiato da Larry Summers, tra i numi tutelari dell’establishment degli Stati Uniti.

Sands ha voluto sottolineare che in questo modo si renderebbe la vita più difficile a chi opera nel campo del terrorismo globale, della corruzione, dell’evasione fiscale e dei crimini finanziari, ma su questo argomento è lecito nutrire qualche dubbio. Non risulta che lo spazio della criminalità organizzata e del “terrorismo globale” si sia ridotto in questi trent’anni di progressivo “proibizionismo del contante”. Un altro aspetto interessante è costituito dal fatto che questa crociata contro le banconote di grosso taglio è promossa principalmente da esponenti presenti o passati del mondo bancario. Di Sands si è detto, di Cœuré anche; quanto alla biografia professionale di Mario Monti, lo stretto legame col mondo bancario non è seriamente contestabile.

Di sicuro l’abolizione delle banconote di grosso taglio renderà la vita difficile a qualcuno, ma è lecito sospettare che non saranno né le grandi organizzazioni criminali né le bande terroristiche a farne le spese. Piuttosto, avranno motivo di preoccuparsi i comuni cittadini, certamente non privi di propensione a modeste illegalità ma, soprattutto, portatori di una colpa imperdonabile, quella di essere i veri finanziatori di ultima istanza del sistema bancario, al quale sono costretti ad affidare le loro disponibilità liquide. E qui sta il punto. Finora, infatti, questa costrizione è stata temperata dalla possibilità, in linea di principio riconosciuta ai clienti delle banche, di ritirare senza preavviso le loro disponibilità, anche in contanti, quando venga meno la fiducia in un determinato istituto di credito o nel sistema.

Nel linguaggio dei sacerdoti del mondo del credito, questa eventualità può mettere a rischio la stabilità del sistema, e conviene quindi disincentivarla. E non vi è dubbio che l’abolizione delle banconote di grosso taglio sarebbe, oggettivamente, un disincentivo: maggiore ingombro del peculio in contanti, difficoltà a occultarlo adeguatamente (sulla limitata affidabilità delle cassette di sicurezze mi permetto di segnalare il divertentissimo, ma non totalmente inverosimile ultimo romanzo di Marc Sutter, Montecristo), eccetera.

Intendiamoci: non che manchino metodi più radicali per allontanare l’incubo dell’improvvisa corsa agli sportelli bancari, e i greci ne sanno qualcosa visto che dallo scorso luglio possono prelevare non più di 60 euro al giorno, e solo da lunedì a venerdì, ma un provvedimento di questo genere si può prendere con una certa facilità in un’economia periferica come quella ellenica, mentre altrove sarebbe un po’ complicato.

Resta il fatto che, forse, all’instabilità del sistema contribuisce assai più della corsa agli sportelli (che ne è in realtà una conseguenza) la commistione di impieghi a lungo termine e di raccolta a vista, consentita alle banche grazie alle improvvide riforme “liberalizzatrici” degli anni Ottanta, così liberalizzatrici che in questa fase forse terminale tendono a privare i cittadini della facoltà di disporre (liberamente, appunto) delle proprie disponibilità monetarie.

Soprattutto, è curioso osservare come, mentre la società diventa sempre più liquida, la liquidità tenda a passare allo stato solido.


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