E’ più probabile che un cammello passi la cruna dell’ago che Angela Merkel cambi rotta nella sua strategia sui profughi”, osservava ieri il giornale di stampo liberista Frankfurter Allgemeine. E Merkel non cambierà posizione nonostante gli elettori le abbiano presentato “il conto”. Il quotidiano di Francoforte si è da tempo distanziato dal corso di Merkel. E una delle sue voci più critiche è uno dei direttori editoriali Berthold Kohler. “Merkel non era candidata in nessuno dei tre Länder”, ha sottolineato Kohler “eppure in tutti e tre il voto ha riguardato anche la sua politica. Perché non c’è stato tema che abbia occupato più la testa dei tedeschi di quello riguardante i profughi”.
Come si sa, nonostante i pronostici che ancora un mese fa davano una vittoria abbastanza certa del partito guidato da Merkel, i cristianodemocratici hanno incassato domenica due sconfitte. Mentre a vincere sono stati i candidati dei partiti avversari che hanno appoggiato la sua politica sui profughi. “Il fatto è”, ha aggiunto Kohler, “che il corso di Merkel attira molte più persone di sinistra. Non c’è stato fino a oggi un altro capo della Cdu, più apprezzato e lodato da parte dei Verdi”. Per il momento lo spostamento a sinistra non avrà conseguenze per Merkel a livello governativo, almeno fino a quando la Csu starà al gioco “ma è altrettanto vero che così facendo la Cdu lascia sempre più spazio alla AfD, la quale ringrazia e se ne appropria”. Resta solo da sperare che il risultato ottenuto dal partito populista Alternative für Deutschland (il 24,2 per cento dei voti) funga da campanello d’allarme, conclude Kohler: “Perché diversamente dai precedenti partiti di protesta, l’AfD potrebbe non scomparire nel giro di poco. Così come il problema profughi non si risolverà, nel giro di poco”.
Ma qual è la lezione che i grandi partiti dovrebbero trarre dalle elezioni di domenica? A dare una risposta al riguardo è stato il settimanale Zeit. Primo: non solo la compagine politica è stata completamente scombussolata, il centro non viene più coperto dai due partiti di massa (Volksparteien). Diversamente da quello che fino a sabato era una constatazione inoppugnabile “una grande coalizione è sempre possibile”, ora in due Länder (Baden-Württemberg e Sachsen-Anhalt) questo non è più vero.
Seconda lezione: anche in Germania si assiste a una crescente polarizzazione dovuta innanzitutto ai personaggi politici. E’ il carisma del singolo coniugato con una linea politica chiara a vincere. Chi come Julia Klöckner, la candidata della Cdu nel Rheinland-Pfalz (data per possibile erede di Merkel) punta troppo sulla tattica (un po’ con la Kanzlerin, un po’ contro) viene punito dall’elettore. Terza lezione: l’AfD è un partito che non si può più ignorare, anche se nessuno sa ancora veramente come rapportarsi con questo movimento. Così, per non sbagliare, tutti nei talk show ripetevano la frase: un conto è fare campagna elettorale, un altro è essere parte di un parlamento, fare proposte, prendere posizione. Ma tutti erano anche consapevoli che i risultati strepitosi ottenuti nei tre Länder (13,6, 15 e 24,2 per cento) non sono da imputare solo a una partecipazione molto più alta al voto, ma altrettanto alle molte pecorelle smarrite dei cosiddetti partiti istituzionali. E così i politici intervistati hanno tutti voluto differenziare tra i vertici dell’AfD, disposti anche ad appropriarsi di slogan e posizioni della destra estrema, pur di guadagnare consensi e gli elettori (molti del ceto medio). Christian Lindner, capo del redivivo partito dei liberali, Fdp, metteva per questo in guardia dal “demonizzare” gli elettori dell’AfD: “Perché discreditarli vorrebbe dire spingerli ad assumere posizioni ancora più radicali”.
Quarta lezione: governare sarà ora più difficile. Perché non è da escludere che nel Rheinland-Pfalz, per esempio, si venga a formare sotto la guida della socialdemocratica Malu Dreyer, una Ampelkoalition tra Spd, Verdi e Fdp (una coalizione semaforo, rosso, verde, gialla). E’ vero, non sarebbe la prima volta che socialdemocratici e liberali si ritrovano a governare insieme a governare il Rheinland-Pfalz, ora bisognerebbe però mettere insieme tre teste.
Sempre sulla Zeit Bernd Ulrich, uno dei direttori editoriali, invitava i lettori (quelli della Zeit sono in prevalenza riformisti, progressisti) a vedere il risultato anche dal verso positivo. Perché il voto di domenica, soprattutto grazie alla partecipazione molto più elevata del passato (nei due Länder occidentali è stata superiore al 70 per cento, nel Sachsen-Anhalt superiore al 60 per cento) ha dimostrato che “i tedeschi sono molto più maturi di quel che molti pensavano. Per sette mesi il tema dominante è stato quello dei profughi. Per sette mesi è come se la voglia di dire la propria fosse costantemente cresciuta, istigata da dibattiti, discussioni accese, a volte anche urlate, senza che l’elettore potesse però darvi sfogo, intervenire: cioè votare. Ora ha potuto farlo, e la buona notizia è che: quando accadono fatti di questa portata, le persone cercano la via democratica, anziché distanziarsene”. Certo, ha aggiunto poi Ulrich, c’è anche un secondo messaggio, meno rassicurante: “La maggioranza degli elettori appoggia la linea Merkel, per quanto con alcune riserve o meglio avvertenze. Due terzi hanno infatti votato partiti che sostengono più o meno la politica di Merkel, non direttamente la Cdu. Il fatto è che una Kanzlerin non può fondare la propria politica sul consenso accordatole in gran parte a partiti altri dal suo”..
Anche uno dei direttori editoriali della Süddeutsche Zeitung Heribert Prantl vede nel risultato luci e ombre: “Questa domenica elettorale entrerà nella storia tedesca. E’ stato ed è infatti un squarcio sul futuro della democrazia tedesca. Mostra come il vecchio panorama politico si stia sfaldando e quali siano i pericoli in agguato: pericoli che si riassumono nell’acronimo AfD; l’est del paese mostra tendenze sempre più ‘brune’. Al tempo stesso questa domenica ha dimostrato come ci si possa opporre a questo pericolo: con una linea chiara e decisa che oggi porta il marchio di Winfried Kretschmann (il governatore verde che appoggiando senza tatticismi la linea Merkel è stato riconfermato contro il candidato Cdu nel Baden-Württemberg, n.d.r.)”. Un risultato, prosegue Prantl che rafforza comunque Merkel, ma non necessariamente il leader dei socialdemocratici Sigmar Gabriel, anche lui reo, di aver voluto all’ultimo momento smarcarsi da Merkel. Gabriel nel rush elettorale finale a provato a pescare nel bacino AfD facendosi portavoce una delle accuse del popolo AfD, e cioè che “per i profughi ci sono soldi a sufficienza, per noi no”.
Ora nei Länder si prova a mettere insieme delle coalizioni, e qualcuno dice che potrebbero già fare da modello per il post elezioni politiche del settembre 2017 (soprattutto se nel Baden-Württemberg nascesse una coalizione Verde-Cdu). Resta però una domanda: E di Angela Merkel ora che sarà e cosa farà? Lei stessa riferendosi all’esito delle elezioni ha parlato di luci e ombre. Secondo la Kanzlerin il fatto che la gestione dei profughi non sia ancora giunta a una soluzione, o per lo meno a un accordo europeo su come gestirla, ha dominato evidentemente questo test elettorale. Merkel ha anche ammesso che bisogna confrontarsi più attentamente con il malcontento degli elettori dell’AfD. “Non vedo in questo risultato un problema esistenziale della Cdu, ma certo un problema da prendere sul serio. Dobbiamo chiaramente distinguerci dalla AfD, spiegare quali sono le nostre proposte di soluzione”. Ma chi spera, come il capo della Csu Horst Seehofer, in un cambio di rotta, sbaglia. Perché come ha detto Armin Laschet, uno dei vertici della Cdu: “Bisogna continuare a cercare una soluzione europea alla gestione dei profughi. Certo è una strada ancora lunga e faticosa, ma non dobbiamo farci spaventare da questo spostamento a destra”.
Ora Merkel, ma anche l’Spd e i Verdi hanno sei mesi di tempo per provare a frenare il dissanguamento. In settembre si voterà di nuovo: per il Landtag nel Mecklenburg-Vorpommern, la regione di Merkel; per il Senato di Berlino e per le amministrative nella Bassa Sassonia. Fino ad allora, sarà però interessante anche seguire le mosse di due persone che al momento si tengono in disparte: il ministro della Difesa, la cristianodemocratica CDU e l’attuale presidente dell’Europarlamento, il socialdemocratico Martin Schulz. Due pesi massimi della politica, attualmente forse gli unici che potrebbero competere con i loro attuali leader di partito.