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Il vero potere delle donne secondo Costanza Miriano

Costanza Miriano, 46 anni, umbro-romana (nel senso che è nata a Perugia ma vive e lavora a Roma ormai da vent’anni), è appena uscita con il suo nuovo libro Quando eravamo femmine. Lo straordinario potere delle donne (Sonzogno, Venezia 2016, pp. 176, € 15). Operazione difficile, la sua, ma non disperata. Quella, cioè, di restituire e riproporre in piena epoca gender l’immagine di una donna la cui missione è ancora e sempre fondamentale per i destini del mondo. Sì, perché, afferma la giornalista e scrittrice, «Ognuna di noi sa che il livello spirituale di un’epoca è dato dal livello spirituale delle sue donne, e che l’uomo agisce sul presente mentre la madre costruisce per l’eternità».

UN CASO INTERNAZIONALE

La Miriano ha cominciato quasi per caso a scrivere libri ma, una volta partita, è diventata un caso internazionale. Con il suo primo lavoro, dal titolo apparentemente improponibile (ma biblico) Sposati e sii sottomessa, è diventata un caso letterario in Italia e in Europa, dove il lavoro è stato tradotto in vari paesi (tra cui la Spagna dove Cásate y se sumisa ha provocato vivissime polemiche finendo anche in Parlamento e nelle aule giudiziarie). Portando il suo primo libro in tutta Italia, con innumerevoli conferenze, incontri, post ed articoli, nonostante i quattro figli e l’attività professionale (si occupa di informazione religiosa a Rai Vaticano e collabora con diversi quotidiani come Avvenire e La Croce), la Miriano si è resa decisamente conto che era necessario scrivere un altro libro, che spiegasse alle donne come parlare agli uomini. Per questo è nato Sposala e muori per lei.

QUANDO ERAVAMO FEMMINE, IL NUOVO LIBRO

Per offrire qualche considerazione e tentare di dare delle risposte sulla crisi post-moderna dell’identità delle donne che, ormai emancipate, hanno conquistato la loro libertà ma a costo di diventare «più sole e tristi», Miriano ha pubblicato, in forma di lettere inviate alle sue due figlie femmine, l’ultimo libro uscito a febbraio, intitolato anche questo provocatoriamente Quando eravamo femmine. Prende di mira innanzitutto la cultura e le battaglie del femminismo “storico” perché, come esordisce fin dall’inizio, «per rispondere alle domande sulla donna, dobbiamo liberarci dagli schemi della rivendicazione e capire quale grande privilegio sia l’essere femmine, destinate dalla natura ad accogliere la vita, chinandoci su di lei, in qualsiasi forma si presenti alla nostra porta. E quale grande avventura possa essere per noi diventare spose e madri, accanto all’uomo con cui possiamo arrivare a diventare una carne sola. Non sto mica parlando della casalinga anni Cinquanta: le tante donne che ho avuto la fortuna di incontrare – donne realizzate spesso anche nel lavoro – hanno percorso strade difficili, perfino drammatiche, eppure ne sono emerse straordinariamente capaci di vita, capaci di speranza contro ogni ragione. Mi hanno insegnato che essere felici è possibile, ma richiede un lavoro». Un lavoro su se stesse ma anche di relazione e che non può prescindere da quello di mamme, biologiche o “spirituali”, «che tutte facciamo, mettendoci insieme però anche un’esagerazione di mail messaggi telefonate».

A CHI VOGLIO PIACERE IO?

Il punto di partenza è che, ogni donna, ha sempre bisogno di uno sguardo che la definisca, qualcuno che l’ascolti, la confermi, la consigli, le risponda e l’accompagni. Quello che definisce veramente ogni donna, però, non è la risposta alle domande, afferma Costanza, «quanto piuttosto la nostra scelta: chi vogliamo che risponda a quella domanda? Chi vogliamo che ci dica che siamo belle? In fondo, nella più intima verità di noi stesse, quello che ci definisce è “a chi voglio piacere io?”. Ognuna di noi vuole piacere a qualcuno, anche quelle apparentemente più autonome, perché l’indipendenza è un’illusione (io manco ci provo, a fare finta)».

Quella che il quotidiano britannico Catholic Herald ha definito «la scrittrice cattolica più pericolosa del mondo», ha sperimentato personalmente la sua risposta: «A Dio». «Quando chiedo al Signore di restituirmi lo sguardo di amore che desidero – confida la Miriano – sono più piena, più felice, dipendo di meno dagli altri e riesco ad amarli in modo più libero, non come chi si aggrappa, ma come chi si apre generosamente, perché sa che la sua pienezza non è messa in crisi da niente».

Non è, poi, per lei “stereotipo” ridirsi e ridire che le donne sono complicate e che, «ogni tanto la nostra complicazione prende il comando». Quando sbarella, quindi, ciascuna ha bisogno prima di tutto di un “Alleato”: «Per questo per noi donne, soprattutto da una certa età in poi, è fondamentale mettere in moto una vita spirituale che ci protegga da noi stesse, dal dolore, che ci renda feconde davvero, che ci renda capaci di far vivere tutti quelli che ci sono affidati».

QUESTA PIENEZZA CI MANCA, NON È COLPA DEGLI UOMINI

Quando la “pienezza” cui aspirano manca loro, non è colpa degli uomini cattivi, come hanno sempre strillato le femministe, né del lavoro nel quale ci verrebbe impedito di realizzarci: «è che l’abbiamo cercata nel posto sbagliato», afferma la Miriano. Forse molte donne della “generazione Settanta”, cioè quelle nate nel periodo peggiore di demolizione della società e della famiglia, non si sono ancora rese conto di quanto hanno perso e, aggiunge la scrittrice, «di quanto rischiamo di far perdere a quelli che dipendono da noi, perché intorno a una donna realizzata e felice la vita fiorisce, mentre intorno a una donna che lascia il controllo alla pazza di casa la morte trionfa».

Nell’introduzione del libro, Miriano esplicita il motivo che l’ha spinta a scriverlo, vale a dire l’«insopprimibile impulso alla condivisione, o più precisamente, il dovere morale di elencare per filo e per segno tutto quello che manca alla mia perfetta felicità. E siccome noi siamo “infiniti quanto al desiderio”, come disse Dio a santa Caterina da Siena, l’elenco di quello che manca a volte può rivelarsi davvero impegnativo. Dipende sempre da quanto tempo hai, incauto interlocutore che mi hai posto la domanda, o quanto credito sul telefono».

TRA “FILOSOFA DELLA DIFFERENZA” E REDIVIVA IRENE BRIN

Miriano si rifà spesso alle contemporanee “filosofe della differenza”, italiane o francesi, come ad esempio Luisa Muraro o Luce Irigaray. Secondo lei questo filone fa eco al messaggio sulla donna delle grandi sante del Novecento, come ad esempio Edith Stein che, nelle conferenze degli anni 1930 scriveva frasi di una profondità immensa ed ancora molto attuali sull’identità femminile. Già allora, infatti, iniziava la lunga parabola di crisi della figura femminile, allora “ingessata” più o meno malamente dai regimi autoritari costituiti fra le due guerre.

Prima che la Stein vestì l’abito carmelitano (si chiamerà suor Teresa Benedetta della Croce) e morì, offrendo la sua vita per il popolo ebreo, nella shoah ad Auschwitz nel 1942, scrisse testi sull’identità femminile come, ad esempio, quello che Miriano cita all’inizio del libro: «La donna è chiamata naturalmente alla missione di sposa e di madre: essere sposa significa essere la compagna che presta sostegno all’uomo, alla famiglia, alla comunità. Essere madre ha questo senso: custodire la vera umanità, difenderla e portarla al suo pieno sviluppo. La duplice funzione di compagna delle anime e di madre delle anime non è limitata agli stretti confini dei rapporti matrimoniali e materni, ma si estende a tutti gli esseri umani che entrano nel suo orizzonte».

IL NUOVO MONDO DI IRENE BRIN

Non glielo hanno mai detto finora ma, a me, la Miriano, ricorda un po’, mutatis mutandis et servata distantia, la “giornalista femminile” (ma non femminista, come alcuni ci vorrebbero far intendere) per antonomasia del nostro Novecento: Irene Brin, autrice di numerosi articoli di società, moda e costume, pubblicati soprattutto sulla rivista “Ominibus” tra il 1920 e il 1940. Costanza, adattandolo ai linguaggi ed alla cultura di oggi, ripropone infatti il tipico “Power of Style” che la Brin incarnava e proponeva nella sua scrittura diretta alle donne. La Brin alle donne del suo tempo, contro l’androginismo della moda femminile che già nel dopoguerra cominciava ad affacciarsi, rivendicava la futilità dell’artificio, dell’ornamento, così come la Miriano riprende oggi, facendo infuriare i fautori e le fautrici delle gender theories, l’esaltazione della genuinità del femminile, complementare in una nuova ottica alla figura dell’uomo devirilizzato prima dal femminismo poi dall’ideologia LGBT.

La Brin esortava le donne ad essere loro stesse artefici della loro immagine, esprimendo così la propria soggettività ma in relazione all’uomo. Costanza come visto vede nella riappropriazione del proprium (e del genio) femminile la speranza della rinascita sociale. È quanto, del resto, scrive alla fine dell’introduzione di Quando eravamo femmine: «Quello che spero di avere riportato è il timbro di tante voci che non si riconoscono nei modelli di donna oggi prevalenti, e che qui ho cercato di raccontare alle mie bambine». Un libro imperdibile, anche per gli uomini.


Miriano Quando eravamo femmine


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