Fra i tanti esiti sorprendenti della politica monetaria divergente fra Usa e Ue, se ne nota uno che adesso diventa interessante osservare: le imprese americane non finanziarie si indebitano sempre più in euro anziché in dollari, sfruttando questa sorta di arbitraggio monetario che deriva dalla differenza sui tassi di interesse.
Il fenomeno è divenuto talmente rilevante, nota Hyun Song Shin, capo della ricerca della Bis che ne ha discusso nell’ultima quaterly review dell’istituto di Basilea, che “ha finito col guadagnarsi un proprio appellativo: le reverse yankee”.
Tale circostanza ha direttamente a che vedere proprio con la divergenza monetaria che si sta ampliando fra le politiche delle banche centrali. “Così com’era cresciuto l’indebitamento in dollari all’estero durante il periodo di politiche monetarie accomodanti negli Stati Uniti, stiamo ora assistendo a un incremento dell’indebitamento in euro al di fuori dell’area dell’euro. La componente in più rapida espansione del credito denominato in euro è quella verso i non residenti, in particolare le obbligazioni in euro emesse da imprese non finanziarie al di fuori dell’area dell’euro, che evidenziano una crescita del 15% annuo”.
Questa tendenza è chiaramente visibile in un grafico dove si rappresenta la crescita del credito al settore non finanziario negli Usa, nell’Ue e in Giappone. La tendenza che si osserva è che negli Usa “le consistenze di credito ai prenditori non finanziari al di fuori degli Stati Uniti sono risultate essenzialmente stabili, pari a $7,9 mila miliardi, nel secondo e nel terzo trimestre 2015. Se si includono i prenditori finanziari non bancari, questo importo aumenta a 9,8 mila miliardi di dollari, anche in questo caso pressoché invariato dal secondo trimestre al terzo”. Quanto alle economie emergenti, “il credito in dollari Usa è rimasto pari a circa 3,3 trilioni”.
Se guardiamo al credito concesso in euro, si osserva che “anche il credito denominato in euro ai prenditori al di fuori dell’area dell’euro è rimasto stabile, per un totale di 2,2 trilioni di dollari verso i prenditori non finanziari e 2,7 trilioni di dollari se si includono le finanziarie non bancarie”. Questa stabilità però, come abbiamo visto, nasconde la particolarità che è in crescita la quota di aziende americane che si indebita in euro per sfruttare i vantaggio dei tassi più convenienti.
Tutto questo accade, nota il capo della ricerca Bis, mentre “al contrario, il credito denominato in euro verso i mutuatari all’interno dell’area dell’euro cresce più lentamente, a un tasso annuo del 2,1%, nonostante gli interventi di politica monetaria adottati dalla BCE (inclusi i tassi ufficiali negativi) tesi a stimolare il credito nell’area”. Insomma è più facile che gli euro escano fuori dall’eurozona, piuttosto che rimanerci dentro. Lo sapevamo già, ma è una conferma in più.
La circostanza che le imprese americane trovino sempre più conveniente indebitarsi in euro solleva una questione. La Bce ha annunciato che comprerà anche bond corporate denominati in euro all’interno delle nuove politiche di QE. Vuol dire che si possono comprare anche bond made in Usa?
Così, giusto per saperlo.
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