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L’esecuzione dei jihadisti olandesi: diserzione o psychological warfare?

È giallo sulla notizia, circolata ampiamente sui media mondiali, circa l’esecuzione di otto foreign fighters olandesi da parte dello Stato islamico. La fonte sarebbe in teoria affidabile: si tratta di Raqqah is being slaughtered silently (RBSS), gruppo di citizen journalists che documenta via internet le innumerevoli violazioni dei diritti umani da parte dei baghdadisti. Il fatto è che un’altra fonte, ossia l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (SOHR), ha emesso ieri una smentita ufficiale e parla di meri rumors. Non sarà semplice giungere alla verità sia perché entrambi i soggetti che hanno riferito la notizia godono di ottima reputazione, sia per l’impossibilità di ottenere conferme indipendenti.

Ma vediamo i fatti. Secondo quanto riporta RBSS, al centro dei fatti ci sarebbe stato un gruppo di 75 combattenti di nazionalità olandese, il cui quartier generale sarebbe ubicato nella zona di Al Furusiya, non lontano da ar-Raqqah. È noto che gran parte dei miliziani al servizio di al-Baghdadi sono ghuraba, “stranieri”. Secondo le stime del Soufan Group, sarebbero tra 27 e 31 mila i foreign fighters che combattono sotto le bandiere nere, e proverrebbero da ben 86 paesi di tutto il pianeta, America Latina esclusa. L’impressionante numero dei volontari che hanno aderito alla causa di al-Baghdadi ha reso il jihad siro-iracheno quello più popolare nella storia delle insurrezioni islamiste contemporanee, più ancora di quello primigenio in Afghanistan, che com’è noto vide la partecipazione dei leggendari “arabi afghani” tra le cui fila si fece le ossa un certo Osama bin Laden, che intorno a questa legione straniera giunta da tutta la mezzaluna islamica costruì una potente macchina organizzativa, al Qaeda, destinata ad alimentare il jihad globale che lo sceicco saudita aveva deciso di lanciare al “nemico lontano” americano e ai suoi alleati

Ma torniamo al caso dei foreign fighter olandesi. Questo gruppo aveva una propria individualità sulla base di uno schema ampiamente rodato nella struttura militare dello Stato islamico. Alla luce dell’ampio numero di combattenti stranieri, l’esercito jihadista è suddiviso in brigate (katiba) formate da individui dal medesimo background linguistico, esigenza stringente quando si tratta di coordinarsi durante i combattimenti. Nonostante la propria autonomia, la katiba olandese era comunque agli ordini dei comandanti dello Stato islamico, acquartierati non lontano da loro. L’incidente con questi ultimi avrebbe avuto inizio, secondo RBSS, quando un miliziano olandese avrebbe dato mostra di voler disertare e tentato di convincere alcuni connazionali. Questo fatto sarebbe giunto alle orecchie dei comandanti, che evidentemente però, si può sospettare, già nutrivano del malumore nei confronti dei fratelli stranieri. Il presunto “istigatore” e un altro pugno di compagni sarebbero stati dunque fatti prigionieri. La situazione sarebbe trascesa quando uno dei soldati sospettati di defezione sarebbe morto durante un interrogatorio. La voce del decesso si sarebbe sparsa nella katiba, che sopraffatta dalla rabbia si sarebbe recata nel quartier generale jihadista e avrebbe tentato di eliminarne il responsabile. Il comando avrebbe però ritenuto utile tentare una composizione, spedendo il giorno dopo ad Al Furusiya un proprio emissario nel tentativo di calmare le acque. Ma gli olandesi hanno ritenuto di liquidare l’ambasciatore in segno di vendetta per la morte del compagno. A quel punto, la situazione sarebbe andata completamente fuori controllo e il quartier generale dell’IS avrebbe ordinato di circondare il campo di Al Furusiya con un convoglio di veicoli armati, con l’intenzione di arrestare l’intero gruppo. Ne sarebbe scaturito un conflitto a fuoco con numerosi morti e feriti nel quale gli olandesi hanno avuto la peggio. Catturati, sarebbero stati trasferiti nella prigione della vicina Ma’adan e in quella della città di Tabqah. Finché, come riferisce SBSS, il pomeriggio del 26 febbraio otto jihadisti olandesi, accusati di sedizione, sarebbero stati passati per le armi a Ma’adan e seppelliti nella montagna di Aljerf.

La versione fornita dagli attivisti di “Raqqah is Being Slaughtered Silently” ha, dalla propria parte, la prossimità geografica tra i luoghi in cui si sono consumati i fatti e il proprio teatro di operazioni, che si trova proprio nei pressi di Ma’adan. La smentita dell’Osservatorio Siriano dei diritti umani poggia, oltre che sull’autorevolezza della fonte, sull’argomento secondo cui l’esecuzione non rientrerebbe nel modus operandi dell’IS.

Sebbene la verità difficilmente verrà a galla, è probabile che la vicenda si sia consumata proprio come l’ha raccontata RBSS. Non solo perché l’IS ha dimostrato innumerevoli volte il proprio spregio nei confronti della vita umana e non sono mancati in passato casi analoghi di combattenti tentati dalla diserzione, un’eventualità che l’IS non contempla né può permettersi in tempi di crescente difficoltà. Nella stampa filtrano ogni tanto casi di pentimenti da parte di ghuraba, motivati di norma dallo iato tra il paradiso che ritenevano di incontrare dopo la propria hijra (emigrazione) e la realtà. L’episodio potrebbe inoltre essere la spia di un crescente malessere da parte dei foreign fighters, il cui entusiasmo iniziale potrebbe essersi spento alla luce delle tensioni interne allo Stato islamico nel momento in cui la sua avanzata non è più inarrestabile come si proclamava un tempo. Nella ridda delle ipotesi, si dovrebbe tenere conto anche di quella avanzata dal Daily Beast: per la testata americana l’episodio sarebbe falso e costituirebbe un caso di guerra psicologica. Un escamotage utile a seminare disordine tra le fila del nemico.



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