Mentre il presidente Barack Obama compie la sua storica visita a Cuba, gli aspiranti alla nomination democratica e repubblicana si contendono il voto ebraico negli Stati Uniti di fronte alla convention dell’Aipac, l’American Israel Public Affairs Committee, la più potente lobby ebraica americana. Tutti meno l’ebreo Bernie Sanders, che non ci va: sembra un paradosso (e un po’ lo è).
La visita di Obama ha e avrà risvolti elettorali su Usa 2016. Ma il presidente cubano Raul Castro evita d’esprimere preferenze tra Hillary Clinton e Donald Trump: “Io non voto negli Stati Uniti”, dice, dribblando una domanda. Obama insiste per il rispetto dei diritti dell’uomo nell’isola, Castro per la fine dell’embargo.
Le passerelle all’Aipac avvengono a distanza. Hillary Clinton afferma che “la sicurezza d’Israele non è negoziabile” – una frase che, più o meno, dicono tutti -, ma sottolinea anche la responsabilità a combattere il fanatismo. E ricorda che una donna, Golda Meir, ha già guidato Israele: che cosa aspettano gli Stati Uniti?
Donald Trump vira senza imbarazzi rispetto a sue posizioni recenti contestate dagli ebrei americani e alza la posta: “La mia priorità numero uno è smantellare l’accordo con l’Iran” sul nucleare e pure “rivedere il rapporto con la Nato”, che “costa troppo”. Affermazioni più allarmanti per gli europei che rassicuranti per gli israeliani.
Ted Cruz, iper-conservatore ed evangelico, è su una linea analoga a quella di Trump: s’impegna, come Trump, a spostare l’ambasciata degli Usa in Israele a Gerusalemme, “capitale eterna” – l’impegno preso dal Congresso è stato costantemente disatteso dalle ultime Amministrazioni, sia democratiche che repubblicane – e a reimporre sanzioni all’Iran. John Kasich scalda meno la platea: “Non possiamo essere neutrali nel difendere i nostri alleati”, dice, sottolineando che Israele è “partner fondamentale degli Stati Uniti per la sicurezza in Medio Oriente”.
Trump, il cui intervento all’Aipac è segnato da proteste e contestazioni fuori dal Verizon Center, vive a Washington una giornata complicata, tra esponenti del partito, che continua a osteggiarlo, e la comunità ebraica, che lo guarda con diffidenza, nonostante i suoi propositi. Il magnate occupa, comunque, la scena nella capitale e non risparmia le critiche a Hillary, che, dice, non ha né la forza né l’energia per fare il presidente, mentre apre a sorpresa all’idea di un ticket con Cruz.
Di fronte all’Aipac, Hillary sfoggia competenza in politica estera, forte dell’esperienza da segretario di Stato: Trump colma – un po’ – il gap annunciando un pool di consiglieri sugli affari internazionali. La Clinton prende pure le distanza dall’Amministrazione Obama, annunciando che lei inviterebbe alla Casa Bianca il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Lo showman è più contenuto del solito e gioca la carta dell’ebraismo di famiglia: la figlia Ivanka, nota, s’è convertita alla fede del marito e “sta per avere un bambino ebreo”.