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Perché la flessibilità Ue per i migranti penalizza l’Italia. Parola di Confindustria

Di Alessandro Fontana e Luca Paolazzi

L’esclusione dai vincoli del Patto di stabilità e crescita nel 2016 soltanto della maggiore spesa per i migranti rispetto a quella sostenuta l’anno prima penalizza l’Italia, che spenderà quest’anno 2,5 volte la media nel triennio 2011-2013 e che dai primi anni 2000 è tra i paesi europei quello che, insieme alla Spagna, ha visto crescere di più la quota di stranieri residenti (dal 2,4% all’8,2% nel 2013). È singolare, inoltre, che le spese per i migranti finiscano per peggiorare i saldi strutturali e, quindi, richiedere manovre correttive più ampie. Un approccio diverso per i migranti. Al fine di agevolare l’accoglienza dei migranti da parte dei paesi europei, la Commissione europea ha previsto, nell’ambito della flessibilità di bilancio, di acconsentire a una deviazione dall’obiettivo di deficit pubblico nella misura delle spese sostenute per l’accoglienza stessa.

Nell’ambito della valutazione del Disegno di legge di stabilità 2016 (DDL stabilità) la Commissione ha precisato che non sarà esclusa dai vincoli del Patto di stabilità e crescita la spesa totale per i migranti sostenuta dall’Italia ma solo l’incremento della spesa rispetto all’anno precedente. Si tratta di una valutazione penalizzante per l’Italia che per il 2016 prevede la stessa spesa del 2015 (circa 3,2 miliardi), la quale però è stata pari a 2,5 volte quella media sostenuta nel triennio 2011-2013. La Commissione ha solo escluso dai vincoli del Patto il contributo che i paesi europei verseranno alla Turchia per i migranti provenienti dalla Siria. Il trattamento della spesa per i migranti appare in evidente contraddizione con la dinamica degli afflussi migratori degli ultimi anni, quando in Italia e Spagna si sono registrati i più elevati incrementi nell’incidenza dello stock di immigrati (stranieri residenti) sul totale della popolazione. A partire dalla fine degli anni 90, quando si registra l’accelerazione nell’afflusso di immigrati, tale incidenza è più che triplicata: dal 2,4% nel 2000 all’8,2% nel 2013 (per un totale di 4,9 milioni di immigrati, saliti a oltre 5 milioni nel 2015).

Secondo le proiezioni ISTAT, essa arriverà all’11,4% nel 2020; in alcune province già oggi si avvicina al 20% (Milano, Brescia e Piacenza sono tra il 18% e il 19%). L’incidenza nel 2013 è subito sotto a quella osservata in Spagna (10,7%) e Germania (9,5%), ma in quest’ultimo Paese la quota era rimasta pressoché stabile nel tempo (8,9% nel 2000; Figura A). Nel prossimo futuro anche la Germania, che sta accogliendo un numero elevato di migranti, vedrà crescere di molto tale incidenza, così come accadrà in altri paesi UE, per effetto del deterioramento della situazione politica in Medio Oriente e, soprattutto, della crescente pressione demografica in tutta l’Africa (dove la popolazione è prevista raddoppiare nei prossimi 40 anni).

Inoltre, la Commissione europea, nella valutazione del DDL di stabilità, ha specificato che le spese per i rifugiati non possono essere considerate una tantum e quindi non possono essere escluse dal calcolo dei saldi strutturali di bilancio, contrariamente a quanto scontato nell’aggiornamento al Def dal Governo italiano. Ciò comporta un peggioramento del saldo stesso e quindi richiede una maggiore correzione di bilancio. Di tali spese si terrà conto solo nel limite dell’aumento rispetto all’anno precedente e solo nella valutazione ex-post del percorso di aggiustamento verso l’obiettivo di medio termine, sulla base dei dati trasmessi dalle autorità italiane. Si tratta di un modo di affrontare il tema che non appare organico né lungimirante né in linea con l’andamento dei flussi migratori. Invece, potrebbe rappresentare un terreno utile per sperimentare un embrione di politica di bilancio europea.


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