Il 17 aprile 2016 saremo chiamati a votare per un Referendum abrogativo chiamato, giornalisticamente, “NoTriv”. Di seguito un’intervista al prof. Vincenzo Balzani, coordinatore del gruppo energiaperlitalia. Il Prof. Balzani specifica prima dell’intervista che “il gruppo energiaperlitalia che io coordino non è un gruppo politico, ma scientifico. Crediamo che le decisioni debbano essere prese dalle istituzioni, cioè dai governi nazionali e locali. Riteniamo, però, che chi è a capo delle istituzioni, prima di prendere decisioni riguardo problemi complessi come quello dell’energia e del clima, abbia il dovere di ascoltare il parere di docenti e ricercatori che, per la quotidiana consultazione della letteratura scientifica e per le intense relazioni con colleghi di tutto il mondo, possono dare utili suggerimenti per uscire dalla crisi energetico-climatica“.
Prof. Balzani, in che cosa consiste esattamente questo Referendum? Cosa c’entra la “trivellazione”?
Come avviene spesso i referendum abrogativi appaiono, e sono, difficili da capire e da apprezzare nel loro effettivo significato. Questo referendum del 17 aprile, comunemente detto “NoTriv”, non fa eccezione. Si è giunti al referendum perché il Governo non ha ascoltato i consigli degli scienziati e neppure le forti e giustificate proteste di regioni, comuni, comitati locali e associazioni che vedono nell’ambiente, nel paesaggio e nei nostri mari la vera fonte di ricchezza da salvaguardare. Originariamente i quesiti proposti da alcune regioni erano 8. Solo uno di questi è stato ammesso dalla Corte Costituzionale.
Quale sarebbe?
Il quesito superstite «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?» è difficilmente comprensibile. E’ chiaro che si tratta di una legge sui giacimenti e che si chiede se si vuole abrogare una sua parte. Nella sostanza, il quesito riguarda le trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa, che la legge permette alle società che avevano già avuto l’autorizzazione a farlo: col referendum si chiede se vogliamo che non vengano rinnovate le concessioni quando queste scadranno. Dal punto di vista pratico si tratta di una cosa di relativa importanza poiché riguarda 21 piattaforme di estrazione, mentre 39, sempre entro le 12 miglia, potranno in ogni caso continuare ad operare. Il significato del referendum però va ben al di là del contenuto del quesito su cui siamo chiamati a votare. Votando SI contribuiremo non solo a bloccare parte delle trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa, ma soprattutto manifesteremo la nostra volontà di dare un senso al futuro per quanto riguarda clima, ambiente ed energia al fine di custodire il pianeta su cui viviamo.
Secondo alcuni commentatori si tratta di una consultazione ” politica” che serve più a mandare un segnale al governo che non per fare qualche cosa per “l’ambiente”, che ne pensa?
Certamente il referendum ha un significato “politico”, ma solo nei confronti della Strategia Energetica Nazionale che l’attuale Governo ha ereditato da quelli precedenti e che poi ha sostanzialmente peggiorato. Col decreto Sblocca Italia, infatti, il Governo ha attribuito un carattere strategico alle concessioni di ricerca e sfruttamento di idrocarburi, ha semplificato gli iter autorizzativi, ha tolto potere alle regioni e ha prolungato i tempi delle concessioni con proroghe che potrebbero arrivare fino a 50 anni. Tutto ciò in contrasto con le affermazioni di voler ridurre le emissioni di gas serra e senza considerare che le attività di trivellazione ed estrazione ostacolano e, in caso di incidenti, potrebbero addirittura compromettere un’enorme fonte di ricchezza certa per l’economia nazionale: il turismo. Allo stesso tempo, il Governo non opera a sufficienza per creare una cultura del risparmio energetico e della sostenibilità ecologica, introducendo sempre nuovi ostacoli allo sviluppo delle energie rinnovabili.
Nella sostanza che cosa dovrebbe cambiare se la maggioranza vota si? I giacimenti non saranno usati da altri Stati?
Assolutamente no. Guardi che stiamo parlando di giacimenti entro le 12 miglia delle nostre coste!
E poi c’è un’altra questione: dovremmo poi smantellare quelli esistenti e questo comporta un costo e un rischio ambientale. Non è così?
Certo. Bisognava pensarci prima, bisognava non autorizzarne la costruzione. Prima o poi, tre indipendentemente dall’esito del referendum, dovranno essere messi in sicurezza, il che significa costi e purtroppo anche rischi ambientali.
Sulla questione in effetti si è sentito di tutto, lei ha ribadito che questo Referendum riguarda le trivellazioni entro le 12 miglia, però una cosa non è chiara: le trivellazioni entro le 12 miglia sono già vietate. Questo è un argomento debole o mi sbaglio?
Il Governo ha fatto l’errore di continuare ad autorizzare le trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa. Le attività di trivellazione ed estrazione hanno un forte impatto ambientale come inquinamento, subsidenza, rischi per il sistema marino, anche se non consideriamo la possibilità di incidenti. Attualmente ci sono ben 50 piattaforme entro il limite delle 12 miglia. Quando, finalmente, si è accorto del grave errore, il Governo con un decreto del 2013 ha deciso di non concedere altri permessi, ma le società che già operano possono continuare e addirittura 39 di esse hanno o avranno concessioni rinnovate per lunghissimo tempo. Votando sì al referendum si vuole evitare che le altre 21 possano anch’esse chiedere un rinnovo delle autorizzazioni.
Un’ultima domanda: quale percorso dovrebbe intraprendere l’Italia per coniugare autonomia energetica e rispetto dell’ambiente? Se è possibile.
Certo che è possibile. Incominciamo dalla autonomia energetica. Mentre il presidente di Federpetroli è giunto ad affermare che sfruttando i suoi giacimenti “l’Italia potrebbe addirittura soddisfare la metà della sua stessa domanda interna e diventare una potenza energetica” , secondo la BP Statistical Review del giugno 2015 e in accordo con i dati pubblicati dal MISE, le ”total proved reserves” di petrolio in Italia ammontano a 100 milioni di tonnellate. Considerato che il consumo annuale di petrolio è di 56,6 milioni di tonnellate, è chiaro che queste riserve coprono meno di due anni. Per quanto riguarda il gas naturale, le ”total proved reserves” ammontano a circa 50 miliardi di metri cubi, insufficienti a coprire il consumo di 1 anno che è di 56,8 miliardi di metri cubi. E’ chiaro quindi che lo sfruttamento delle nostre esigue riserve di combustibili fossili non ci renderebbe indipendenti da altri paesi. La sicurezza energetica in un paese come l’Italia si può raggiungere solo con una rapida transizione, d’altro canto già iniziata, dai combustibili fossili alle abbondanti energie rinnovabili di cui disponiamo, in un quadro di aumento dell’efficienza energetica e riduzione dei consumi, esattamente come richiesto dalla EU.
E sulla questione ambientale?
Quanto all’ambiente, alla conferenza Cop21 di Parigi le delegazioni di 189 nazioni, cioè praticamente di tutti i paesi del mondo, si sono trovate d’accordo nell’affermare che, come sostenuto dalla grande maggioranza degli scienziati, l’aumento della temperatura del pianeta e i conseguenti cambiamenti climatici sono causati, principalmente, dall’anidride carbonica generata dall’uso dei combustibili fossili. Poi bisogna ricordare che la combustione di carbone, petrolio e gas produce, oltre all’anidride carbonica, anche sostanze molto pericolose per la salute: idrocarburi, ossidi di azoto e di zolfo, ozono e il pericolosissimo particolato fine. Secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente, l’inquinamento da combustibili fossili nel 2012 ha causato 491.000 morti premature in Europa, 84.400 delle quali in Italia. Infine, il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che i danni causati ad ambiente, clima e salute dall’uso dei combustibili fossili ammontano a 5.300 miliardi di dollari all’anno. Le principali energie rinnovabili – eolico, fotovoltaico e idroelettrico – non generano anidride carbonica e neppure sostanze inquinanti. Il Governo dovrebbe rendersi conto che la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili è già in atto ed è un processo necessario ed inarrestabile, come è chiaramente emerso dalla conferenza Cop21 di Parigi e come indica anche l’enciclica “Laudato sì” di papa Francesco. Il nostro Paese può trarre molti benefici accelerando questa transizione perché siamo all’avanguardia nel manifatturiero, un settore particolarmente rilevante per lo sviluppo delle energie rinnovabili. Un vantaggio, questo, che assieme alle abbondanti fonti rinnovabili di cui disponiamo e ad ottime prospettive di mercato in campo internazionale, ci permetterebbe di guardare al futuro con serenità.