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Perché Federmeccanica e i sindacati si guardano in cagnesco

Sono due i fatti salienti della scorsa settimana e vanno letti assieme per capire come saranno le relazioni industriali di domani e soprattutto quale sarà il ruolo del sindacato nei prossimi anni. Da un lato si è verificata la rottura sostanziale della trattativa per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici ed è stato proclamato il primo sciopero; dall’altro, la Cgil ha avviato una poderosa iniziativa per una legge popolare per un nuovo statuto dei lavoratori e per avviare tre referendum abrogativi in materia di lavoro. Fatti che, ripeto, vanno letti assieme perché l’uno influenza l’altro.

L’interruzione dei metalmeccanici era nell’aria da molto tempo, in pratica da quando la Federmeccanica ha presentato ai sindacati la sua contro-piattaforma e questi l’hanno respinta. Il negoziato ha finto di andare avanti, si sono susseguiti incontri e riunioni più o meno in seduta ristretta e riservata, ma da quel momento le posizioni si sono allontanate per mai più riavvicinarsi. I sindacati hanno cercato di negoziare sui contenuti delle richieste di Federmeccanica, ma non hanno trovato alcun ascolto: per gli imprenditori del settore quelle proposte non sono mediabili, prendere o lasciare. Nel primo caso si fa l’accordo, altrimenti si archivia la questione e si va avanti come se nulla fosse, non considerando Federmeccanica il rinnovo del contratto come un obbligo.

Ma davvero le posizioni sono così immobili? Si stenta un po’ a crederlo, perché tutto è sempre mediabile, almeno in parte. I sindacati dicono che con le regole di Federmeccanica non ci saranno aumenti salariali per 20 anni e questo non è tollerabile. Vent’anni in effetti sono davvero tanti, ma forse le cose non stanno proprio così. Federmeccanica non nega gli aumenti salariali e afferma di non voler nemmeno affossare il contratto nazionale, ma vuole cambiare le abitudini. Finora si sono sempre dati aumenti lineari a tutti i lavoratori a ogni rinnovo contrattuale. Tanto o poco, comunque qualcosa si dava sempre. Magari troppo, come l’ultima volta che si sono dati 70 euro in più al mese sui 90 concessi. Adesso gli industriali vogliono cambiare. E hanno proposto di fissare un livello minimo da assicurare comunque a tutti i lavoratori. Un minimo che sarebbe aumentato ogni anno al procedere dell’inflazione, secondo i calcoli Istat sul costo vita ogni mese di maggio. Chi sta sotto, dicono sempre gli industriali, vede salire il proprio salario, per gli altri, per chi già supera quella cifra, nulla. O meglio, nulla con il contratto nazionale. Perché tutto è rinviato alla contrattazione in azienda, nel senso che le imprese che producono ricchezza, che hanno una redditività positiva possono ridistribuire una parte dei loro guadagni trattando direttamente appunto in sede aziendale.

I sindacati non vogliono questo nuovo sistema. Perché sono abituati in un altro modo, ma soprattutto sono i lavoratori a essere abituati ad avere degli aumenti salariali. Dovrebbero cambiare mentalità e abitudini e non è semplice. Poi c’è il nodo della contrattazione aziendale: non è chiaro quanti metalmeccanici godano di questi contratti e quanti no, ma certamente moltissime aziende, tutte le piccole e medio piccole, non fanno contrattazione aziendale, non hanno strumenti per farlo. E allora, si chiedono Fim, Fiom e Uilm, perché lasciare ampie fette di lavoratori senza tutela quando lo strumento lo abbiamo già, il contratto nazionale?

Forse il modo per superare questo ostacolo ci sarebbe, ed è la contrattazione territoriale, che nei fatti consentirebbe di allargare il numero delle imprese interessate ai negoziati, ma Federmeccanica non la vuole a nessun costo, teme che diventi un terzo livello e non vuole sentire ragioni. Ecco che si palesano così diverse paure che si tramutano in altrettante paralisi. Forse la materia per trattare c’è, ma è difficile cambiare abitudini. In realtà i sindacati, specie Fim e Uilm, non temono piu’ di tanto il cambiamento. Negli ultimi anni hanno modificato molto nella prassi contrattuale, basti penare a quanto fatto in Fiat. Ma anche loro stentano a compiere un passo decisivo in questa partita sempre più difficile.

Per ragioni di obiettività c’è da dire che la proposta di Federmeccanica non si ferma alla determinazione di un livello minimo di retribuzione. Perché gli industriali hanno proposto liberalità anche molto generose in materia di welfare contrattuale, per la previdenza, la sanità, l’assistenza, tutte cose molto ambite dai lavoratori perché avere sanità per tutti, più previdenza, buoni pasto, asili nido e quant’altro si tramuta in aiuto economico alla famiglia molto importante e molto interessante, specie quando viene a mancare il sostegno del welfare dello Stato, sempre piu’ ristretto a causa della mancanza di risorse pubbliche. Certo, queste liberalità non incidono sulla contribuzione e quindi non valgono per la futura pensione, ma il piatto offerto da Federmeccanica forse non è così povero come dicono i sindacati. Ma appunto le federazioni di categoria devono capire quale ruolo vogliono giocare nel futuro più e meno prossimo. E la Federmeccanica deve calcolare bene se davvero non ha interesse a mantenere la coesione sociale, che si tramuta poi in un vivere assieme in pace in fabbrica.

(Estratto di un’analisi più ampia pubblicata sul Diario del lavoro)



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