L’incidente diplomatico è chiuso (forse). E la gazzarra mediatica che si era propagata si sta spegnendo.
Restano, comunque, alcuni punti fermi dopo le polemiche suscitate dall’intervista al Corriere della Sera dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, John Phillips.
Il numero di militari italiani pronti per la Libia non era un’invenzione né una richiesta degli Usa, ma era lo stesso numero che il governo Renzi, con dichiarazioni pubbliche e con interviste, evoca da circa un anno (qui una ricostruzione del febbraio 2015).
E restano alcuni impegni che l’Italia disattende e che fanno mormorare non poco gli Stati Uniti, pur nell’ambito di rapporto di un’amicizia solidale.
Vediamo fatti, parole e numerini.
L’INTERVISTA DI PHILLIPS
La scorsa settimana, ha spiegato oggi Phillips nella sua lettera al quotidiano diretto da Luciano Fontana, “ho rilasciato un’intervista al Corriere della Sera su un’ampia gamma di temi di politica estera. Sfortunatamente un titolo sensazionalistico su un altrimenti accurato resoconto ha rappresentato in modo errato le mie dichiarazioni e causato una copertura mediatica imprecisa, commenti e preoccupazione”.
Il riferimento di Phillips è “alla pianificazione di una possibile forza di coalizione che possa assistere un Governo libico di unità nazionale nel ristabilire la sicurezza nella capitale” e, in particolare, a un passaggio riguardante il numero di uomini italiani coinvolti.
Il titolo recitava: “Gli Usa: «All’Italia la guida in Libia. Ci aspettiamo 5mila uomini»”. Phillips ha scritto: “«Ho semplicemente detto che l’Italia ha pubblicamente indicato la sua volontà di inviare circa cinquemila italiani. Per quanto riguarda la preparazione e la tempistica, si tratta di decisioni che non sono state ancora prese»” (il quotidiano diretto ha replicato: “Prendiamo atto della precisazione, ma a nostro avviso il titolo rispecchiava il contenuto dell’intervista e non attribuiva all’ambasciatore alcun diktat all’Italia sulla Libia”).
Parole che hanno innescato dibattito e polemiche. E’ intervenuto anche il premier Matteo Renzi, che domenica 6 marzo a Domenica live su Canale 5 ha commentato: “Con 5mila uomini a fare l’invasione della Libia l’Italia con me presidente non ci va”.
IL FENDENTE A VIA XX SETTEMBRE
Phillips ha rimarcato che era stata proprio l’Italia a indicare quei numeri. In particolare, ha scritto su Formiche.net Stefano Vespa, è impossibile non scorgere nel resoconto del diplomatico “un riferimento a vecchie dichiarazioni del ministro” della Difesa, Roberta Pinotti, che aveva parlato di una forza di sicurezza e stabilizzazione denominata Liam (Libya International Assistance Mission).
In un’intervista pubblicata il 15 febbraio 2015 sul Messaggero, e ripresa poi da molti giornali, la titolare del dicastero di Via XX Settembre non diede numeri precisi e non disse che l’Italia è pronta a inviare 5mila soldati, ma lasciò intendere che avrebbero potuto essere addirittura di più: “Se in Afghanistan abbiamo mandato fino a 5mila uomini – disse allora il ministro Pinotti – in un paese come la Libia che ci riguarda molto più da vicino e in cui il rischio di deterioramento è molto più preoccupante per l’Italia, la nostra missione può essere significativa e impegnativa, anche numericamente”.
Per questo, conclude Phillips nella lettera odierna al Corriere della Sera, “non si è affatto trattato di un suggerimento o di una raccomandazione da parte degli Stati Uniti. Ho solo commentato nell’ambito di un ampio dibattito pubblico, in cui fonti italiane discutevano il possibile impegno e leadership dell’Italia per un’iniziativa internazionale di sicurezza a sostegno di un nuovo governo libico di unità nazionale. Spetta naturalmente all’Italia decidere e definire i dettagli del suo impegno”.
I DOSSIER IN BILICO
Ma se questo equivoco sembra dunque chiarito, vi sono altri dossier, sempre di natura transatlantica, che sembrano fermi. Il più evidente, ha rimarcato sabato scorso in una conversazione con Formiche.net lo storico Giulio Sapelli, è senza dubbio “lo stallo in cui versa ormai da qualche anno il Muos, il sistema satellitare a servizio della Nato fermo in Sicilia per beghe politico-burocratiche”; o “le sanzioni alla Russia, dove spesso il nostro Paese ha dimostrato di avere posizioni oscillanti e non convergenti a quelle alleate”. Infine, come ha notato Vespa, “le polemiche libiche hanno fatto dimenticare che tra un po’ l’Italia sarà in prima linea contro l’Isis, anche se non lo si dice apertamente forse perché non sono ancora sicuri i tempi”. Infatti si attende il via libera del governo ai circa 130-150 uomini destinati a Erbil con funzione di recupero di feriti e dispersi in zone di combattimento, al posto degli americani che intendono spostarsi in Turchia per svolgere lo stesso compito in Siria.