La muta sta avvenendo: Donald Trump cambia pelle e diventa da provocatorio presidenziale, adesso che la nomination appare più vicina e che lui ha bisogno di sentire il partito dietro di sé (e non contro). La scorsa notte, il dibattito tv da Miami fra gli aspiranti alla nomination repubblicana, 12° della serie, è stato finalmente corretto: “Non posso credere quanto civile sia stata la discussione”, rileva lo stesso showman, che ha mantenuto toni pacati ed evitato affermazioni al vetriolo sui rivali, pur ribadendo le sue posizioni, in particolare sui musulmani e gli immigrati.
In conferenza stampa con il premier canadese Justin Trudeau, poche ore prima il presidente Obama aveva dato una stoccata ai candidati repubblicani alla Casa Bianca: Trump e gli altri s’equivalgono, aveva detto, “sull’immigrazione e su altri temi”; l’unica differenza è che Trump usa un linguaggio più provocatorio. Poi, scherzando con Trudeau, Obama aveva aggiunto: “Il Canada è pronto a un esodo dagli usa, se vince Trump”.
Sul palco di Miami, tutti giocano sul sicuro in vista delle primarie di martedì, dove i repubblicani hanno 165 delegati in palio tra Florida e Ohio, dove chi vince se li aggiudica tutti, mentre Illinois, Missouri e North Carolina assegnano 193 delegati con la proporzionale.
Trump guida i sondaggi in Florida, Illinois e North Carolina. In Ohio, il governatore John Kasich pare ora in leggero vantaggio. “Batteremo i democratici e batteremo sonoramente Hillary Clinton“, ha detto il magnate dell’immobiliare, dando per scontata la sua nomination e annunciando che sta per ricevere l’endorsement ufficiale del guru nero Ben Carson. Ma Ted Cruz torna ad ammonire che la nomination di Trump condurrà a una sconfitta a novembre contro Hillary.
Nel dibattito, Trump ha ribadito il suo giudizio che “l’Islam odia l’Occidente” – se non proprio tutti gli 1,6 miliardi di musulmani, sicuramente “molti di loro” – e che per eliminare l’Is serve una forza di almeno 20 o 30 mila uomini: “Io non sono interessato al politicamente corretto, mi interessa risolvere il problema prima che sia troppo tardi”.
Marco Rubio ha replicato: un presidente “non può dire quello che vuole perché ciò ha conseguenze in patria e nel Mondo. Dobbiamo lavorare con la comunità musulmana e i paesi musulmani contro l’estremismo violento”. Cruz ha accusato Trump di semplicismo su tutta la linea: “La risposta non può essere sempre alzare la voce e dire che i musulmani sono cattivi, che la Cina è cattiva”.
Lo showman non ha perso l’inedito aplomb, mostrando toni conciliatori: “Siamo sulla stessa barca, dobbiamo insieme trovare una soluzione e troveremo una risposta”. Sono con i democratici, Trump è stato caustico: ha seguito attentamente i loro dibattiti, “sebbene siano davvero molto noiosi”. Lui, comunque, promette di fare di tutto per non toccare lo stato sociale, mentre Rubio vede l’esigenza d’alzare gradualmente l’età pensionabile.
Trump, che conferma la linea dura sull’immigrazione, ammette di aver assunto lavoratori stranieri, sfruttando i visti concessi a chi ha capacità particolari. “Sono un uomo d’affari e devo fare quello che devo fare”, spiega il magnate, secondo cui è sbagliata la legge che lo consente. “Io sospenderei quei visti per almeno uno o due anni” e anche la concessione della carta verde.
Cruz e Rubio, entrambi d’origini cubane, contestano la normalizzazione delle relazioni con l’Avana mentre Trump è convinto della necessità di cambiare politica con Cuba perché, dopo mezzo secolo, “ci vuole un grande accordo”.