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Repubblicani, ecco come cresce il fronte anti Trump

Donald Trump

Ora che la nomination di Donald Trump pare quasi inevitabile, volano gli stracci fra i repubblicani, nel tentativo di fermalo. Ma forse è tardi. Ci va giù pesante Mitt Romney, candidato repubblicano alla Casa Bianca sconfitto nel 2012: “Trump è un falso, un ciarlatano, un impostore. La sua politica interna ci porterebbe alla recessione. La sua politica estera non è affatto intelligente”, dice Romney, schierandosi contro il magnate dell’immobiliare, senza però annunciare la discesa in campo ipotizzata.

Per Romney, se i repubblicani candidassero lo showman, la vittoria di Hillary Clinton sarebbe sicura. La replica di Trump è pronta: “Ciò che dice Romney è irrilevante: è un cadavere politico…  Come candidato, fu un disastro, fece la peggiore campagna da molti decenni in qua… Ha perso e adesso vuole tornare in campo… Io sono quello che batterà Hillary”.

Anche l’ex candidato repubblicano nel 2008 John McCain e lo speaker della Camera, e candidato vice nel 2012, Paul Ryan si uniscono al coro anti Trump, mentre uno stuolo di esperti di politica estera ne denunciano la pericolosità. Su cui Romney insiste: “Trump non può fare il presidente, i nostri alleati sono allarmati”, mettendone pure in dubbio, lui imprenditore, le qualità da uomo di affari.“Trump non è un genio del business, non ha creato lui la sua ricchezza, l’ha ereditata; anzi, lui ha fatto bancarotta e compromesso posti di lavoro”.

Dibattito a Detroit fra gli aspiranti alla nomination

La notte scorsa, il dibattito di Detroit è stata l’occasione del ritorno di Trump sulla Fox: l’ultima volta, aveva disertato il confronto sulla rete dopo uno scontro con una dei moderatori, la giornalista Megyn Kelly; adesso, c’è stato uno scambio di convenevoli, “Come stai, Megyn? Ti trovo bene”. Poi è iniziata la ridda di attacchi incrociati: scintille soprattutto tra Trump e il senatore della Florida Marco Rubio, mentre il senatore del Texas Ted Cruz assume il ruolo del saggio. Ma alla fine tutti si sono impegnati a sostenere il candidato che otterrà la nomination, fosse anche Trump.

Lo showman s’è dissociato dal sostegno ottenuto nei giorni scorsi da esponenti del Ku Klux Klan e s’è rifiutato di rendere nota una sua conversazione ‘off the record’ con il New York Times, su cui s’intrecciano voci contraddittorie sulla sua fermezza nel volere alzare il muro anti immigrati tra Usa e Messico. Confermata, invece, la sua difesa di forme di tortura come il waterboarding: “Ci vuole quello e altro”, con i terroristi.

S’è parlato parecchio di politica estera. Trump ha detto che sarebbe “non male” se Usa e Russia andassero d’accordo. Il governatore dell’Ohio John Kasich pensa che gli Stati Uniti dovrebbero inviare “truppe di terra” in Libia contro il sedicente Stato islamico; Rubio è favorevole a raid aerei e all’invio “di un numero significativo di forze speciali”.

Come fa spesso, Hillary Clinton non è rimasta in silenzio durante il dibattito: ha ‘twittato’ che “più il tempo passa” più i discorsi repubblicani “diventano sinistri”.

Carson medita ritiro

Giovedì sera, sul palco del dibattito di Detroit, non c’è Ben Carson, che è sul punto di ritirarsi: “Non vedo alcun percorso politico andando avanti, dopo il Super Martedì”, dice il guru in una nota, lasciando presagire l’addio. L’ex neurochirurgo nero, che in autunno pareva lanciato, ma che s’è poi spento progressivamente, chiarirà la sua posizione oggi alla Conservative Political Action Conference nel Maryland, dove farà un discorso. A caldo, martedì notte, Carson aveva detto di volere restare in corsa pur sapendo di non avere speranze: “La posta in gioco – erano state le sue parole – è troppo alta… Credo seriamente nell’America e nella possibilità che possa tornare ai valori fondanti”.

Hollywood, cultura e media contro Trump

Trump è intanto il bersaglio d’una serie d’attacchi del mondo dello spettacolo, della cultura e dei media. George Clooney, dichiaratamente democratico, lo definisce un “opportunista, fascista e xenofobo”, in un’intervista a The Guardian. Clooney sostiene la Clinton, alla cui raccolta fondi contribuisce (nel 2012, in una sola serata portò a Barack Obama oltre 12 milioni di dollari).

E Richard Gere, altro democratico, ieri a Londra per presentare un film e lanciare una campagna pro senzatetto, ha detto al London Evening Standard che Trump “è Mussolini, è un demagogo”: “Com’è possibile che le persone lo supportino?”, s’è chiesto. “È perché sono disilluse, amareggiate, confuse”, mentre Trump assicura “ci sbarazzeremo degli ebrei, dei neri, di tutti quelli che sono ritenuti essere un problema”.

Il settimanale Time dedica la copertina a Trump, definendolo “bullo, showman, guastafeste e demagogo”. L’inviato a bordo del ‘Trump One’, il jet del magnate, scrive che il candidato comunica alla gente “su un livello oltre la pura razionalità”: “Le sue frasi non sempre sono pensate, ma sono un pugno. L’imprenditore attira applausi promettendo posti di lavoro, denunciando gli stranieri e sbeffeggiando i burocrati federali”.

Commentando la levata di scudi dei repubblicani dell’establishment e dei conservatori moderati contro Trump, la Casa Bianca ha ieri osservato che “il vuoto politico nel loro partito è stato creato da loro stessi”: della serie, chi è causa del suo male pianga se stesso.

Per ulteriori approfondimenti sulle elezioni presidenziali americane, clicca qui per accedere al blog di Giampiero Gramaglia, Gp News Usa 2016



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