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Riflessioni a freddo su Bruxelles

Martedì 22.03.2016, al mattino, si è consumata l’ennesima tragedia sul territorio europeo. Diverse esplosioni all’aeroporto e alla metropolitana di Bruxelles. Il bilancio, ancora provvisorio, è di 31 morti e 270 feriti, più o meno gravi. Si è parlato di ritorsioni per l’arresto di Salah, il regista dell’attentato di Parigi e il creatore, pare, della imponente rete di terroristi che opera a Bruxelles e forse in tutto il Belgio. Su questa vicenda è bene separare i diversi piani di analisi e di riflessione.

I FATTI, LA TRAGEDIA

Come accade sempre in momenti di commozione successivi a fatti tragici, il mondo si è stretto in un abbraccio solidale con Bruxelles. Una città lacerata oggi dalle bombe, ma anche da tensioni e contraddizioni che vanno avanti da molto prima di oggi.  Qualcuno, nei social media, ha scritto “di aver finito i Je Suis…” e come dargli torto. Attentati, soprusi, violenze, esplosioni e rapimenti, torture e omicidi, si consumano in tutte la parti del mondo. Alcuni hanno accusato altri di essere solidali solo con le città d’Europa o dell’occidente che vengono colpite. Alcuni hanno messo sul piatto della bilancia i morti di qua con quelli del resto del mondo. Una barbarie.

Per quanto mi riguarda evito di usare i “Je Suis” perché dovrei passare il tempo ad aggiornare, in modo macabro, gli status di facebook, per le tante, troppe, tragedie che ogni giorno si consumano sotto i nostri nasi, o che troppo spesso nemmeno sappiamo essersi verificate. Penso all’Africa non meno del Medio Oriente. Penso a Madrid, Londra e Parigi ieri, così come ad Ankara e Bruxelles oggi. Troppe, sono le vite innocenti spezzate da una follia omicida. Però non posso parlare davvero di “follia”. Sarebbe troppo riduttivo.

Si è visto fin troppo bene: non sono folli, ma spietati assassini. Sono menti che pianificano in modo minuzioso piani di distruzione e armi letali, fatte artigianalmente, forse, ma assicurandosi che uccidano. Hanno aggiunto chiodi e pezzi di vetro, così che una eventuale non morte, possa essere comunque una vita mutilata.

Che fare?

UNA RIFLESSIONE CHE RIPROPONGO

All’indomani dell’attentato di Parigi, scrissi per Formiche.net una riflessione sulle “Sfide dell’Europa” e quelle riflessioni le ripropongo qua perché il contesto non è cambiato e anzi. Riducendo all’essenziale quell’articolo, erano due i punti che evidenziavo come fondamentali:

1) capire che la guerra che stiamo combattendo, perché di questo si tratta, è inedita nella sua forma e nei suoi scopi.

2) che la Politica ha una sua responsabilità e che non ha, fino ad oggi, dimostrato, né a livello nazionale, né europeo, di essere in grado di fronteggiare il fenomeno.

Intervenendo a Di Martedì, il talk-show politico di La7, condotto da Giovanni Floris, l’ex Presidente del Consiglio Enrico Letta ha parlato di questi temi ed è andato oltre citando la “marginalizzazione” nella nostra società e la “radicalizzazione” di alcune posizioni all’interno delle nostre periferie. Questo fatto è fondamentale e non deve essere sottovalutato: il nemico è sparso, qua e là, e si muove con piena consapevolezza e conoscenza delle nostre strutture, dei nostri modi di vita, ha vissuto e goduto delle libertà che l’Europa ha da offrire. Stiamo parlando di qualche cosa di ben diverso da quanto accade in altre parti del mondo: eppure c’è una ideologia dietro che accomuna tutti questi individui, anche se i moventi che li hanno spinti a questo radicalismo sono diversi tra loro.

INCLUDERE E INTEGRARE

Le reazioni a caldo di molti esponenti politici sono state quelle di sempre: bombardiamoli. Ma bombardare chi? Questi soggetti sono cittadine e cittadini europei. Ci vogliamo bombardare da soli? La risposta è come sempre espressione di una totale incapacità politica. Se la guerra è mezzo e fine, è evidente che saremo sempre esposti a situazioni drammatiche di questo tipo. Il punto è politico da una parte, poiché non è possibile limitarsi sempre a reazioni, quasi sempre violente e distruttrici, a situazioni di questo tipo; e dall’altro è sociologico , poiché attiene non solo al modo in cui noi ci rapportiamo con gli altri, la famosa e triste retorica dell’esportare democrazia così come il “aiutiamoli a casa loro”; ma anche e soprattutto al modo in cui noi ci siamo organizzati, viviamo e interpretiamo la nostra stessa società. Da qui il duplice problema dell’inclusione e dell’integrazione, due cose non identiche: includere e integrare, insieme, significa non solo “portare dentro”, ma anche rendere quel qualcuno partecipe e parte di questo insieme. Non è l’assimilazione, che crea isolamento e solo apparentemente integrazione; ma la capacità di una società di essere dinamica e di innescare un processo di reciprocità: io do e prendo qualche cosa, è uno scambio che dovrebbe generare un gioco win-win.

DALLA TEORIA ALLA PRATICA

Certo, dirlo è facile, farlo è tutt’altra storia. Ma quale dovrebbe essere lo scopo di una Unione Europea se non quello di vincere la sfida che ha davanti da decenni, di includere e integrare? Non doveva e non dovrebbe essere questo il ruolo della Politica? Per questo, banalmente, serve davvero più Europa, quella che si è ritrovata sotto al motto “uniti nella diversità”. Lo si ripete da tanto tempo, che questa unione si regge solo su interessi economici e che è mancato e manca tutt’ora, il senso sociale e politico di questo stare insieme.

Per alcuni la cosa è diversa, immagino, la Politica dovrebbe essere mantenimento di ciò che c’è ed essere esclusione. Perché tutto ciò che è sforzo per la creazione di una società aperta e tollerante è tacciato di buonismo. Perché non si vedono – non si vogliono vedere – e non si capiscono – non si vogliono capire – le poderose trasformazioni sociali degli ultimi tempi e il senso stesso del mutamento, con la sua ineluttabilità. Si tratta non di buonismo, né di cessione delle proprie norme, dei propri valori e men che meno della propria identità, si tratta di riconoscere certi processi, crearne di nuovi se necessario, ma soprattutto di saperli governare.

Errori ne son stati fatti e ne vengo tutt’ora fatti da ogni parte. Ma la situazione è questa: o si reagisce in modo chiaro e definitivo o si continuerà a procedere per tentativi più o meno disperati, sempre inseguendo un’emergenza e senza aver mai una soluzione a portata di mano, se non nuovi conflitti, nuovi odi, nuove incomprensioni, nuovi problemi e nuove tragedie.


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