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Riforma Bcc, ecco come si dividono nel Pd renziani e bersaniani

Di Bruno Guarini e Fernando Pineda
tim, mucchetti

Mentre gli onorevoli del Pd Giovanni Sanga ed Emanuele Lodolini, rispettivamente relatore e componente della VI Commissione Finanze, elogiavano e valorizzavano la riforma del credito cooperativo contenuta nel decreto legge n.18/2016 enunciando il grande lavoro che si sta facendo in Commissione Finanze per migliorare il testo e per garantire l’opportunità di chi non vuole far parte della holding di poter prendere legittimamente un’ altra strada, venti senatori del Pd, capitanati da Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria di Palazzo Madama, inviavano una lettera al Premier Renzi con la quale contestavano il decreto legge di riforma delle BCC approvato dal governo e chiedevano la reintroduzione delle parti del progetto, presentato da Federcasse in accordo con Bankitalia, stralciate proprio dal premier Matteo Renzi.

IL VERTICE DI IERI

Immaginare che la riforma delle Bcc possa far cadere il governo appare, oggettivamente, inverosimile, ma non vi è dubbio che la temperatura all’interno del Pd sia notevolmente salita. Una riunione della maggioranza, cui hanno partecipato ieri anche il viceministro dell’Economia Enrico Morando, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti e il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, ha permesso di raggiungere un‘intesa sulla riforma delle Bcc su cui da oggi la discussione entra nel vivo in Commissione alla Camera, secondo la ricostruzione del quotidiano la Repubblica.

Vista la levata di scudi sulla cosiddetta “way out” (le condizioni alle quali Bcc dissenzienti possono non aderire alla super-holding unica) così come era stata prevista dal governo, l’orientamento governativo ora è di convergere verso l’emendamento di Michele Pelillo (sempre del Pd). In sostanza, viene fatta salva l’indivisibilità delle riserve delle Bcc. Come dire, il caposaldo stesso della cooperazione: nessuna Bcc potrà trasformarsi in società per azioni. La Bcc però potrà scorporare la licenza bancaria, attribuendola ad una nuova spa.
Il governo invece non intende rinunciare agli introiti che aveva previsto nel testo originario del decreto legge, così l’aliquota da pagare su quelle riserve resterà al 20% (l’emendamento prevedeva il 15%).

LE RICHIESTE DELLA BANCA D’ITALIA

Sembrerebbe accolta anche l’ipotesi, avanzata da Bankitalia, di “congelare” la fotografia delle Bcc che possono aspirare alla way out (almeno 200 milioni di patrimonio) ad una data certa, che potrebbe essere al 31 dicembre scorso: ora si parla di un periodo di tempo che va dai 60 ai 120 giorni dopo la conversione in legge del testo, per consentire anche a Bcc di minori dimensioni di aggregarsi con una banca di credito cooperativo che soddisfi quei requisiti.

LE POSIZIONI DI RENZIANI E BERSANIANI
Da una parte i renziani che, volendo sempre più apparire i riformatori per gli stralci operati al testo di riforma proposta da Federcasse e Bankitalia, intendono ulteriormente migliorarla in parlamento per agevolare la possibilità di uscita di quelle BCC che non gradiscono aderire al gruppo unico, e, dall’altra i bersaniani, scesi in campo a difesa e sostegno dei rappresentanti della cooperazione di credito, i quali chiedono il ripristino delle parti stralciate dal governo originariamente proposte da Federcasse in accordo con l’organo di vigilanza, domandando, in particolare, l’eliminazione della way out introdotta da Renzi e Padoan per le BCC che raggiungono 200 milioni di patrimonio nei 18 mesi di tempo a disposizione per la costituzione della holding unica.

I NODI DEL CONTENDERE

Ma cosa è successo nello specifico del decreto legge di riforma delle BCC e quali modifiche chiedono espressamente i renziani, da una parte, ed i bersaniani, dall’altra?

Innanzitutto, dalle audizioni e dai documenti che circolano oramai da giorni, emerge chiaramente che il governo ha stralciato la previsione che attribuiva alla Banca d’Italia il potere di stabilire requisiti specifici al fine di favorire e consentire la costituzione di Gruppi Bancari Cooperativi nelle regioni a statuto speciale e nelle provincie autonome, e quelli che attribuiva alla stessa la possibilità di stabilire tutta una serie di regole e requisiti operativi, che sono stati invece riservati al Ministro dell’Economia retto da Piercarlo Padoan.

Altro stralcio operato dal governo è la possibilità di costituire delle sub-holding società per azioni che avrebbero recuperato le federazioni regionali delle BCC, insieme alla possibilità di istituzione di uno strumento temporaneo tra le BCC, da attivarsi nel periodo che intercorre tra l’emanazione del decreto legge e l’avvio dell’operatività del Gruppo Bancario Cooperativo, e che avrebbe consentito di anticipare, immediatamente, gli effetti dell’adesione al gruppo unico obbligatorio.

LE INNOVAZIONI DEL GOVERNO

Il governo ha poi introdotto la possibilità di non adesione al gruppo unico (way out) per quelle BCC che nei 18 mesi di tempo detengano un patrimonio netto pari ad euro 200 milioni, e a condizione che versino un’imposta straordinaria del 20%, ed ha inserito la clausola che consente alla capogruppo di nominare o rimuovere i vertici delle Bcc solo in casi eccezionali e motivati (lasciati invece al libero arbitrio della capogruppo nel progetto di Federcasse condiviso con l’organo di vigilanza).

LA MEDIAZIONE IN CORSO

Mentre i parlamentari renziani stanno ragionando e studiando altre ed ulteriori ipotesi per agevolare meglio l’uscita di quelle Bcc che non intendono aderire al gruppo unico (si parla della possibilità, anche per quelle Bcc che non hanno 200 milioni di patrimonio, di conferire l’attività bancaria in una società per azioni e trasformare la BCC in una sorta di fondazione bancaria che deterrebbe il capitale della spa e manterrebbe i principi mutualistici e le riserve indivisibili), i senatori bersaniani chiedono, all’opposto, di blindare l’obbligo di adesione al gruppo unico per tutte le Bcc, sia attraverso la previsione del versamento in contanti (non consentendo cioè il conferimento di beni e di asset previsto dal decreto) del patrimonio minimo di un miliardo di euro richiesto per la costituzione della capogruppo, sia con la richiesta di eliminazione della way out, evocando l’ipotesi di eventuali procedure d’infrazione da parte della Ue per aiuti di Stato connesse all’aliquota, ritenuta troppo bassa, dell’imposta straordinaria del 20%.

LO SCENARIO

Tenuto conto delle festività pasquali che riducono i tempi di conversione in legge, appare sempre più probabile che, anche stavolta, il Pd giungerà ad una mediazione interna alla maggioranza per poter porre la fiducia al decreto legge n. 18/2016.



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