La guerra alla religione è l’altra faccia della guerra di religione, ed è per questo che in Occidente, ed in particolare in Europa, non si parla delle quattro missionarie di Madre Teresa uccise nello Yemen.
Papa Francesco si è lamentato pubblicamente dell’eccidio a più riprese, parlando di globalizzazione dell’indifferenza. E così tutti i media. Oggi al riguardo Avvenire intervista, ad esempio, l’editorialista della Stampa Gianni Riotta. Ma nessuno ha messo in relazione i due fenomeni, anche se nei suoi più recenti interventi lo stesso Pontefice ha iniziato a dedicare maggiore attenzione a quello che accade in Europa, riprendendo temi cari al suo predecessore Benedetto XVI.
Mi spinge a questa considerazione un’attenta analisi l’ultimo, cioè il Settimo Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa appena pubblicato da Cantagalli Editore. Quest’anno la consueta panoramica dettagliata sullo sviluppo della Dottrina sociale della Chiesa nei cinque continenti e delle più significative esperienze in atto nell’impegno per la giustizia e la pace, si arricchisce di una chiave di lettura completamente inedita.
Per il Rapporto le guerre di religione sono i nuovi califfati. Opportunamente viene fatto il parallelo storico con le guerre di religione che insanguinato i secoli scorsi il Vecchio Continente sostenendo che naturalmente le guerre di religione non sono soltanto guerre religiose, ma hanno anche precisi moventi geopolitici diversi dalle fedi. Ma appunto guerre di religione sono quelle che insanguinano il Medio Oriente o l’Africa, le tensioni inasprite tra sciiti e sunniti, gli attentati terroristici che fanno tremare l’Europa, compreso il reclutamento di militanti e le persecuzioni violente dei cristiani.
Le guerre alla religione sono invece definite dal Rapporto come le discriminazioni che i Paesi occidentali attuano contro il cristianesimo e il tentativo, tramite leggi e politiche, di estirparlo dall’Europa. Se un vescovo non può criticare una legge francese pena la denuncia, se si rischia il carcere con l’accusa di omofobia, se le Femen possono devastare impunite Notre Dame, se l’obiezione di coscienza è sempre più minacciata, significa che l’Occidente ha dichiarato guerra al Cristianesimo, sostiene il Quaderno pubblicato insieme al Rapporto, firmato a più mani, in cui spiccano il contributo del arcivescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi e di Stefano Fontana direttore dell’Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa. Sottoscrivono la Sintesi introduttiva: Fernando Fuentes Alcantara, direttore della Fundación Pablo VI, Madrid; Daniel Passaniti, direttore esecutivo CieS-Fundación Aletheia, Buenos Aires; Manuel Ugarte Cornejo, direttore del Centro de Pensamiento Social Católico della Universidad San Pablo di Arequipa, Perù.
Il Rapporto (relativo a dati e statistiche del 2014, l’ultimo anno per cui siano disponibili) documenta ambedue le tendenze e mostra come l’Europa e l’Occidente in generale risultino indeboliti nei confronti delle guerre di religione, proprio perché conducono una loro guerra alla religione.
“È nostra convinzione – scrivono gli autori – che tra i due volti di Giano ci siano profondi collegamenti e che qualcosa di molto profondo e sottile colleghi tra loro le guerre di religione e la guerra alla religione. Di più: pensiamo che questo collegamento sia, più che in ogni altra epoca passata, molto stretto nel nostro tempo, di cui rappresenta un segno inconfondibile. L’Occidente è troppo preso dalla sua guerra interna alla religione per potersi occupare delle guerre di religione in Siria o in Nigeria. È troppo preoccupato di recidere i propri legami con la religione proclamando l’indifferenza alle religioni, indebolendosi e rendendosi non più capace di difendere nel mondo nemmeno il diritto alla libertà di religione, che in un certo senso è una sua creazione”.
Questa concezione si sta estendendo ai Paesi dell’America latina. Mentre segnali di controtendenza si vedono in Russia e nel mondo post comunista, dove l’Ortodossia gioca e giocherà un grande ruolo.