Si fa più in fretta a dire dove hanno perso che dove hanno vinto: i due battistrada e ormai nettamente favoriti per la nomination democratica e repubblicana alla Casa Bianca, Hillary Clinton e Donald Trump, dominano primarie e assemblee del Super Martedì e s’impongono ciascuno in almeno sette competizioni.
Ai loro rivali, restano le briciole: fra i democratici, il senatore Bernie Sanders vince nel suo Vermont e in Oklahoma, Minnesota e Colorado – un bottino discreto, che lo impegna a continuare la corsa “per cambiare l’America” -; fra i repubblicani, il senatore Ted Cruz vince nel suo Texas – il terzo Stato dell’Unione, dove i delegati in palio sono 155 – e nel vicino Oklahoma, il senatore Marco Rubio vince finalmente in uno Stato, il Minnesota. Troppo poco, probabilmente, perché le loro speranze restino realmente vive, anche se tutti e due dicono di crederci ancora. Inesistenti o quasi John Kasich e Ben Carson, che, però, restano in corsa.
I repubblicani votavano in 13 Stati, i democratici in 11, oltre che nel territorio delle Isole Samoa: i delegati in palio erano rispettivamente 595, quasi la metà dei 1.237 necessari per la nomination, e 865 fra i democratici, oltre un terzo dei 2.382 necessari.
Il resto è terra della Clinton e di Trump. I loro commenti arrivano dalla Florida, dove già preparano il match del 15 marzo, decisivo per Rubio (se non vince a casa sua, nessuno gli darà più credito). Di qui in avanti, in alcuni Stati importanti ed elettoralmente cruciali, come la Florida e l’Ohio, varrà la regola che chi vince prende tutti i delegati – e non la ripartizione proporzionale dei delegati in base ai voti ottenuti -: le vittorie lì, dunque, contano di più.
La Clinton si impone in Alabama, Arkansas (lo Stato da cui iniziò la saga politica familiare), Georgia, Massachusetts (il suo primo successo nel New England ‘liberal’, dove Sanders ha la sua roccaforte), Tennessee, Texas, Virginia, oltre che nel territorio delle isole Samoa.
Trump vince in Alabama, Arkansas, Georgia, Massachusetts, Tennessee, Vermont e Virginia – mancano i dati dell’Alaska e del Wyoming, che, comunque, non assegna delegati-.
L’ex first lady, ringraziando gli elettori, dice: “Questo Paese appartiene a tutti noi, non solo a chi guarda in una sola direzione, prega in una direzione o pensa in una direzione” (una sorta di identikit di Trump).
Il magnate la attacca direttamente sullo scandalo delle mail dall’account privato quando era segretario di Stato: “Quello che Hillary ha fatto è un atto criminale”.
Trump, introdotto sul palco dal suo ultimo e più clamoroso ‘acquisto’, il governatore del New Jersey ed ex rivale per la nomination Chris Christie, è anche caustico con Rubio: “Mi dispiace per lui, la sua è stata una serata molto dura e ha pure speso un sacco di soldi”. Il senatore, il più giovane del lotto, lo aveva pesantemente attaccato negli ultimi giorni, però senza risultato.
Lo showman avverte già l’esigenza di smorzare un po’ i toni, presentandosi come “un conservatore di buon senso”, per evitare di spaventare i moderati. Ma non fa un passo indietro, ad esempio, sul muro al confine con il Messico, che sarà “come la Muraglia cinese”. Il partito repubblicano resta, però, preoccupato: gli ultimi sondaggi confermano che qualsiasi candidato democratico batterebbe Trump; e ci sono gruppi al lavoro per trovare un’alternativa a Trump (c’è chi pensa a un ritorno in campo del candidato 2012 Mitt Romney).
Cruz si presenta come l’unico in grado di batterlo, fra i repubblicani. Ma lui non costituisce proprio un’alternativa: è iper conservatore, evangelico e, rispetto a Trump, è meno populista e, soprattutto, è meno simpatico; anzi, è francamente antipatico.
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