Per Hillary Clinton e per Donald Trump è stata una settimana dalle valenze diverse: entrambi sono usciti vincitori dalle primarie cruciali di martedì 15, ma mentre Hillary s’è sensibilmente avvicinata alla nomination Trump incontra nuovi ostacoli sulla sua strada, dopo gli episodi di violenza che stanno segnando l’ultima fase della sua campagna. La battistrada democratica interpreta il momento dicendo che “ho dalla mia i numeri e il focus è contro Trump”.
Anche ieri ci sono stati tafferugli, nello Utah, a un comizio del magnate dell’immobiliare, che se l’è presa con Mitt Romney, il candidato repubblicano 2012, ora suo antagonista, mettendone in dubbio l’appartenenza alla chiesa mormone.
Molti leader del suo stesso partito, sempre alla ricerca di un’alternativa moderata e credibile, e pure di nuovo lo speaker della Camera Paul Ryan, criticano i toni della campagna di Trump e lo invitano a condannare le violenze. E c’è chi pensa di metterlo sotto inchiesta per istigazione alla rissa.
Anonymous gli dichiara una “guerra totale”, il cantante Graham Nash lo definisce “una barzelletta”, ma aggiunge che “è pericoloso”. E figure di spicco del pensiero liberal incoraggiano le proteste contro lo showman, purché non violente: di fronte alla Trump Tower a New York, manifestanti dicono no ai muri e sì alle buone maniere.
E ci sono pure episodi inquietanti: Eric Trump, figlio di Donald, riceve una lettera con una polvere bianca, rivelatasi poi innocua. L’allarme, il secondo in pochi giorni, evoca l’incubo delle lettere all’antrace, mortali, del 2001 – una prima busta era giunta a inizio settimana al ‘quartier generale’ di Marco Rubio a Washington -.
Il presidente Obama, che s’è già fatto sentire a più riprese, invita a cessare “la retorica volgare e violenta”, oltre che populista. La Clinton afferma che Trump “incoraggia la violenza e il caos”; Bernie Sanders lo definisce “un bugiardo patologico”.
Conservatori autorevoli e moderati anti-Trump lanciano l’idea di un ‘ticket di unità’. Ma Romney, che è un ‘papabile’, si tiene fuori e fa sapere, un po’ a sorpresa, che alle primarie nello Utah voterà per il senatore del Texas Ted Cruz, quando si sarebbe atteso un endorsement al governatore dell’Ohio John Kasic, che il WSJ giudica il candidato migliore, fra i tre superstiti, per la gestione dell’economia. Ryan, candidato vice 2012, continua a chiamarsi fuori.
Non giova a Trump il fuoco di sbarramento di alcuni interlocutori internazionali degli Stati Uniti, che l’ex first lady definisce “preoccupati” dalla prospettiva del magnate dell’immobiliare presidente. Se la tv di stati russa pare simpatizzare per lui, che ha toni talora ‘putiniani’, il Cremlino ne critica lo spot che “demonizza la Russia”. Per la Cina, l’ascesa di Trump è “una lezione alle democrazie”: come dire, guardate che cosa succede a scegliere i leader con quel sistema. E The Economist, che è uso emettere giudizi, mette una vittoria dello showman nell’Election Day fra i ‘rischi globali’, accanto al sedicente Stato islamico e al Brexit.
A fronte di tutto questo trambusto repubblicano, la campagna democratica scorre liscia come l’olio, nonostante le polemiche per un abbraccio tra Hillary e l’ex presidente George W. Bush ai funerali di Nancy Reagan o per il sostegno all’ex first lady di un capo locale del Ku Klux Klan; e, ancora, per la decisione di Sanders, ebreo, di non andare alla riunione dell’Aipac, potente lobby ebraica.
Il presidente Obama avrebbe detto ai finanziatori democratici che la corsa di Sanders s’avvia ormai alla fine e s’appresta a cercare di unire il partito, per la verità già abbastanza compatto, dietro la Clinton.