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Tutte le folli mosse di Erdogan e Merkel nella crisi dei migranti

Erdogan Turchia Merkel

La strategia sui migranti della cancelliera tedesca Angela Merkel sul fronte della sicurezza e della gestione dei flussi – condivisa da un blocco di Paesi coinvolti a livello europeo (Francia, Italia, Austria, Olanda e Belgio) – ha infiammato i governi e i parlamenti dei Paesi balcanici e del cosiddetto gruppo Visegrad, composto da Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia, che da tempo battono i pugni sui tavoli della Commissione europea per opporsi a questi piani.

La Turchia mercanteggia con le tratte dei migranti senza crearsi alcuno scrupolo, alzando la posta e relegando il carico dei migranti quasi interamente sulla Grecia, già in agonia per la perversa congiuntura istituzionale ed economica che l’ha travolta.

Questa negoziazione perpetua sui contributi dei Paesi europei alla Turchia desta critiche per tre aspetti fondamentali, oltre ad essere alla base dell’infrazione di qualsivoglia protocollo internazionale in merito alla gestione dei flussi, come denuncia l’Onu. Andrebbe intanto definito lo status internazionale delle persone richiedenti asilo: profughi di guerra, migranti o richiedenti asilo. Come la prenderebbero i turchi la classificazione dei curdi e degli yazidi quali profughi di guerra?

Non vengono ammesse in Turchia le organizzazioni internazionali che supportano le popolazioni siriane e curde, travolte dai conflitti incrociati nell’area, lasciando quasi tutto il lavoro alla Mezzaluna Rossa gestita direttamente dal governo turco nei suoi campi temporanei, con quel che ne consegue. Per non parlare dei traffici di armi e petrolio con gruppi jihadisti come l’Isis e Al Nusra.

Non solo i profughi pagano, per l’ingresso in Turchia, organizzazioni criminali o parastatali coinvolte nelle operazioni di soccorso, ma questi vengono indirizzati direttamente nelle fauci degli scafisti e contrabbandieri che si muovono verso la Grecia e la Bulgaria, consegnando il flusso nelle mani della criminalità organizzata greca e macedone, forti della pervasiva efficacia della corruzione generale che regna negli apparati statali in tempi di crisi. Gli stessi migranti in Macedonia, Serbia e Croazia, sono stati fatti passare in passato mediante corruzione diretta delle forze dell’ordine e militari che presidiano le rotte. Solo con l’arrivo in Ungheria e Austria si arrestano i fenomeni corruttivi e partono le resistenze politiche all’invasione.

All’annuncio del raddoppio dei soldi che la Turchia chiede ai Paesi europei per la gestione temporanea dei profughi di guerra, tutti i parlamenti e le forze politiche dei Balcani hanno alzato la voce e chiesto l’immediata chiusura dei confini. Ciò si spiega semplicemente così: o Bruxelles paga anche i nostri Paesi, alcuni con procedure di adesione all’Ue in corso, per il sovraccarico e il passaggio dei profughi con processi di identificazione e permanenza temporanea, oppure noi non permetteremo alla Turchia di prendere tutti i soldi dei Paesi Ue lasciando a secco chi dovrà poi gestirli per mesi durante le tappe della speranza.

Tale minaccia ha una sua visione strategica, poiché negli ultimi anni la Turchia ha avviato una politica estera molto aggressiva nei Balcani centrali e occidentali, vere barriere culturali e identitarie al suo prossimo negoziato finale con l’Ue.

L’errore strategico della Merkel, condiviso anche da parte nostra, richiama una strategia post bellica, ossia la creazione di una cerniera geografica che trasformi la comunità europea in spazio imperiale normativo, fiscale ed economico senza vincoli identitari. Una nuova linea di Teodosio viene ricreata per catalizzare al massimo le debolezze sistemiche dei Balcani e le vicissitudini economiche che preoccupano la maggior parte dei Paesi europei maggiormente esposti con i loro interessi geopolitici economici al Nord Africa.

La visione tedesco-turca vorrebbe anche cancellare qualsivoglia contributo diretto dei Paesi europei in termini di contribuzione a servizi come il rafforzamento della presenza nell’Egeo con navi militari, le azioni della Croce Rossa Internazionale, campi medici e invio di beni di prima necessità.

In questo scenario l’unica attività intelligente dell’Italia è stata la proposta del sottosegretario con delega agli Affari europei Sandro Gozi in Albania, il quale ha voluto comunicare al governo di Tirana la volontà dell’Italia di fornire adeguati mezzi militari e strumentazione tecnica per proteggere le sue frontiere. Almeno una idea chiara di quel che avverrebbe se ripartissero i viaggi in gommone dall’altra parte dell’Adriatico il governo pare la abbia.

È in seno all’Ue che dovremmo cambiare strategia, affrancandoci al gruppo di Visegrad e a quello dei Balcani nel sostenere una equa divisione dei fondi comuni, in opere compensative e nella sicurezza collettiva, per sottrarre alla Turchia il peso negoziale che affianca la visione imperiale tedesca sul futuro dell’Europa. Che Ankara apra le porte ad una missione europea nei suoi territori, per poter integrare e controllare le missioni umanitarie con ufficiali e civili che completino le richieste di asilo, la verifica della documentazione e la situazione dei nuclei familiari adatti ad una possibile integrazione con i Paesi ospitanti.

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