“Durante una visita a Shanghai sono stato sommerso di domande sul jobs act: il mio omologo cinese mi ha detto che funziona bene e lo vogliono replicare”. Pier Carlo Padoan parte alla conquista simbolica dell’Oriente, apparentemente guadagnato alla causa renziana, ma pianta gli stivali sul suolo nostrano e semmai punta piedi e speroni verso il nord d’Europa. Verso Bruxelles e i leader dei Ventotto, protagonisti di un immobilismo decisionale ben rappresentato dal terzo Consiglio europeo in un mese per affrontare la crisi dei migranti: “A mancare in Europa è la fiducia reciproca; ed è la politica che deve farsi carico di ricostruirla”.
È un Padoan a tutto campo quello che interviene nel parlamentino dell’università Gregoriana di piazza della Pilotta, alle spalle della Fontana di Trevi, in occasione della conferenza “L’Italia e il governo dell’economia europea”, organizzata dall’Istituto Affari Internazionali (IAI), il think tank romano fondato da Altiero Spinelli.
Il ministro dell’Economia e delle Finanze parla a ruota libera della riforma della governance economica dell’Unione europea e del suo position paper, il documento propositivo “Una strategia europea condivisa per crescita, lavoro e stabilità” che ha inviato a nome dell’esecutivo all’indirizzo di Bruxelles, in un ideale andirivieni di note che fa il paio con le preoccupazioni sulla situazione dei conti pubblici italiani espresse a inizio mese dalla Commissione.
Ma Padoan non ci sta, difende i 25 miliardi di spending review, la flessibilità che soppianta l’austerità e descrive un’Italia ben lontana dalla maglia nera in fatto di diligenza europea: “La proposta del governo italiano è un documento politico”, un’assunzione di responsabilità “che si basa su considerazioni di carattere tecnico”. Ed è la politica che deve tornare a dare risposte e a costruire una comunione d’intenti andata perduta per strada. Reprimende non meglio configurate ma che si muovono chiaramente verso latitudini settentrionale, dove alberga chi è ossessionato dall’implementation italiana delle misure europee (è un refrain che il ministro – ma non solo lui – ripete con insistenza, facendo il verso a qualche compulsivo collega).
Molte delle riforme proposte nel paper possono realizzarsi a Trattati invariati, spiega Padoan, ma la stessa revisione dei testi fondanti della convivenza sotto il tetto a dodici stelle non è del tutto fuori discussione. Chiaramente, nei piani del titolare dell’Economia, si tratterebbe di una variazione nel senso di più Europa: e non solo nel dominio di sua competenza. “La crisi dei migranti è un problema europeo cui occorre dare risposte europee. E non ha solo una dimensione di emergenza, ma di lungo termine, perché l’integrazione è un vantaggio per l’Ue”. Anche qui, condivisione del rischio e gestione sinergica.
Occorre poi non ragionare per compartimenti ma integrare dimensione economica e sociale in Europa, facendo convergere l’agenda dell’Ecofin con quella del Comitato Affari sociali, insiste Padoan approfittando dell’assist di uno degli speaker, l’editorialista del Corriere della Sera Maurizio Ferrera, che vede nel pilastro dei diritti sociali i il segno di una Ue che non è nemica del welfare: “Vorrei che i mercati fossero strumenti al servizio dei cittadini e non fini”.
E ancora, innovazione e investimenti in ricerca e sviluppo, il ministro unico delle Finanze, la creazione di un fiscal board, la messa a punto di nuove istituzioni “purché sia chiaro a cosa servono”, il potenziamento del mercato unico, che non è un cavallo di battaglia del passato ma la chiave per integrare in ottica Ue anche trasporti, energia e digitale e investire sulle grandi infrastrutture.
Al fianco di Pier Carlo Padoan, chi l’ha immediatamente preceduto negli uffici di via XX settembre: Fabrizio Saccomanni, ex direttore generale di Bankitalia, al MEF con Enrico Letta e oggi vicepresidente dello IAI. “Il documento italiano è molto puntiglioso e dimostra che perdersi in chiacchiere è un vizio ben diffuso in una Ue incompleta” che mette a rischio Schengen, lascia zoppa l’unione bancaria e non congegna una vera politica fiscale. Il sospiro è poi presto servito: “Avrei tanto voluto avere il tempo di farlo io!”.
Fra il pubblico, l’ex numero uno di Cassa depositi e prestiti Franco Bassanini e il senatore a vita Mario Monti, che in chiusura sfodera una delle sue proverbiali e lancinanti perifrasi: “Il ministro ha due grossi meriti. Ha contribuito al posizionamento del governo in Europa secondo una combinazione perfetta di pragmatismo nella continuità e ambizione realistica e tolto, così facendo, le ambiguità che si erano create a Bruxelles per manifestazioni verbali non corroborate da sostanza”. Citofonare Renzi.