Manchiamo di evoluzione del senso civico, di quella consapevolezza del “comune” che si sta sfaldando sotto i colpi dell’ “individualismo competitivo” e del “pre-giudizio strumentale”.
A forza di competere, eliminiamo dal nostro orizzonte di senso tutto ciò che ci appartiene in quanto umanità e che dà senso alle nostre vite personali e alle nostre vite-in-comune; volentieri rottamiamo, forse non rendendoci conto del dramma di significato che caratterizza quel verbo. Infatti, rottamando, vogliamo con insistenza il nuovo, il futuro ad ogni costo ma saltiamo a piè pari la dimensione strategica dell’esperienza e il fatto che il futuro già ci appartiene perché il cambiamento è in noi.
In sostanza, nel competere e nel rottamare, consolidiamo la fragilità del nostro esistere e non diamo respiro alla complessità del vivere. Paradossalmente, più esistiamo sulle certezze consolidate e non problematizzate e più siamo precari. Saremo anche “tecnologicamente avanzati” ma, in realtà, siamo “primitivi progrediti”.
I proclami del “circo politicante” urtano solo il sistema nervoso dei tanti che non credono alla retorica d’avanspettacolo nella quale siamo immersi; ma non basta più indignarsi, occorre che gli intellettuali escano allo scoperto, ritornino nei mondi-della-vita e pongano, con grande serietà, il tema (sempre più strategico e non più eludibile) della formazione di classi dirigenti degne di questo nome.