Diceva lo scrittore venezuelano Arturo Uslar Pietri che per favorire lo sviluppo del Paese è necessario “seminare il petrolio”, ovvero investire le risorse derivanti dal reddito petrolifero in infrastrutture, istruzione, produzione industriale e agricola. Lo stesso Hugo Chávez, durante la campagna elettorale del 1998, aveva promesso di seguire la “ricetta” proposta dall’intellettuale, ma poi le parole non furono seguite dai fatti. Oggi il Venezuela, come quasi tutti i Paesi produttori di petrolio, fa i conti con il crollo del prezzo del greggio e una crisi economica senza precedenti. Il petrolio ha perso il 70% del suo valore negli ultimi due anni, provocando crisi economiche in Russia, Iran, Nigeria, Norvegia e Arabia Saudita. I governi avevano modellato le rispettive spese pubbliche sulla base del barile a 120 dollari; oggi, invece, il prezzo si aggira intorno ai 35 dollari. Cosa fare?
LA STRATEGIA DEL GIOVANE SALMAN
Nonostante stia acquisendo grandi estensioni di terre in Africa, proprio per investire le risorse derivanti dal settore petrolifero, assicurarsi l’accesso alle materie prime locali (come racconta Stefano Liberti nel libro Land grabbing. Come il mercato delle terre crea il nuovo colonialismo) ed evitare un’altra crisi alimentare come quella del 2008-2009, l’Arabia Saudita non ha avuto la possibilità di “seminare il petrolio”. Il principe saudita Mohammad bin Salman, però, erede nella linea di successione di casa Saud, ministro della Difesa, presidente del Consiglio di Affari Economici e di Sviluppo e uomo forte della compagnia petrolifera Aramco (qui il ritratto di Formiche.net) ha svelato quella che è la nuova ricetta per sconfiggere la dipendenza dal petrolio. “In Arabia Saudita abbiamo sviluppato una dipendenza al petrolio”, ha detto Salman in un’intervista con la tv di Stato Al Arabiya, poco prima di presentare il progetto.
IL PIANO VISION 2030
Il piano si chiama Saudi Vision 2030 e ha come obiettivo diversificare gli investimenti, per i prossimi quindici anni, così da non dover legare l’economia saudita solo ed esclusivamente all’andamento del greggio. Colonna portante della strategia sarà un fondo sovrano, che potrebbe diventare il più grande al mondo. Inoltre, la compagnia nazionale saudita di idrocarburi, Aramco, collocherà il 5% dei titoli in Borsa.
IL SUPER FONDO SOVRANO
Il principe Salman non ha fornito dettagli sul fondo sovrano, ma con 2mila miliardi di dollari il nuovo fondo saudita sorpasserà sicuramente quello norvegese (800 miliardi di euro). Una classifica stilata dall’Istituto di Fondi Sovrani (Swfi), datata giugno 2015, sosteneva che il fondo saudita fosse il quarto a livello mondiale, con 700 miliardi di dollari. Jean-Louis Mourier, economista della firma Aurel BGC, crede che il piano dei sauditi sia creare un fondo per finanziare la diversificazione dell’economia: “Il Paese ha tempo per costruire un’economia alternativa e ha preso coscienza del reddito petrolifero e che è necessario cominciare presto con gli investimenti”.
I CONTI DI RIYAD
Dall’esportazione del petrolio il regime saudita trae il 72% delle proprie entrate. Come ricorda Bloomberg, il deficit fiscale del 2015 è stato di circa 98 miliardi di dollari, mentre la disoccupazione ha raggiunto l’11%. Con queste riforme il governo di Riyad cercherà di aumentare le entrate da 43,6 miliardi di dollari, registrati nel 2015, fino a 267 miliardi di dollari nel 2030. “Tecnicamente – ha spiegato il principe al sito americano – questo farà degli investimenti e non del petrolio la nostra fonte principale di reddito. Tra 20 anni saremo uno Stato che non dipenderà principalmente dal petrolio”. Inizialmente, con Saudi Vision 2030 saranno collocate in Borsa le azioni corrispondenti al 5% della compagnia statale Aramco, più attivi immobiliari, titoli di stato e piccole partecipazioni in imprese straniere. Secondo la Bbc, l’Arabia Saudita potrebbe investire anche in energia rinnovabile e turismo.
L’INSOSTENIBILE ECONOMIA SAUDITA
Stando ai numeri, il fondo sovrano saudita sarebbe pronto a battere tutti i record del settore. Soltanto l’1% dei titoli supererebbe il primato storico raggiunto dalle operazioni di Alibaba (25 miliardi di dollari) e Facebook (16 miliardi di dollari). E se il 5% delle azioni di Aramco saranno messe sul mercato, il resto sarà controllato dal governo saudita. Una decisione imperativa, dato che secondo l’istituto Global McKinsey l’economia e la spesa pubblica saudita non possono continuare a dipendere dal petrolio, visti i cambiamenti del mercato internazionale dell’energia e le tendenze demografiche del Paese.
TRASFORMAZIONE SOCIALE
Per il 2030, l’Arabia Saudita spera di potere creare circa sei milioni di posti di lavoro. Il pacchetto di riforme mira anche a garantire una maggiore apertura del mercato del lavoro alle donne (dal 22% al 30%). Inoltre, sono previsti un piano per il rilascio dei permessi di residenza e lavoro, per rifugiati provenienti dai vicini Stati arabi, e lo sviluppo di un’industria pesante saudita.
LA REAZIONE DEL FMI
La reazione del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) all’annuncio di Riyad è stata positiva. Il direttore dell’istituto per il Medio Oriente e l’Asia Centrale, Masood Ahmed, ha detto che il piano “non rappresenta soltanto uno sforzo per riequilibrare i conti fiscali per i prossimi cinque anni, ma cerca di trasformare l’economia per renderla meno dipendente dal petrolio. Questi sono obiettivi ben accolti e sono esattamente il tipo di trasformazione che necessita un’economia come quella saudita”. L’Fmi aveva già chiesto ai Paesi del Golfo di adeguarsi ai prezzi bassi del petrolio, dopo che era stato calcolato per il 2016 un calo dell’1,8% rispetto a quello del 3,3% verificatosi nel 2015. L’Organizzazione prevede che il petrolio recupererà valore alla fine del decennio, arrivando a toccare i 50 dollari a barile.
SEMINARE IL PETROLIO
Alcuni analisti come Michael L. Ross, professore di Scienze politiche dell’Università della California, considerano un fenomeno comune la relazione tra reddito da petrolio e le crisi dettate dal crollo del prezzo del greggio. Bisognerà aspettare fino al 2030 per capire se l’Arabia Saudita, sotto la guida di Salam, riuscirà finalmente a “seminare il petrolio” e raccoglierne i frutti.