Si ode qualche mugugno tra i democrat lucani per il rinvio della visita programmata da tempo di Matteo Renzi in Basilicata. Le indagini della Procura sul petrolio dell’Eni e della Total hanno consigliato il premier ad annullare l’appuntamento previsto per la scorsa settimana. “Evita, rinvia, dribbla la Basilicata, ma soltanto da quando è diventato segretario del Pd e poi presidente del Consiglio. Prima no – dicono alcuni esponenti Pd – Da novello rottamatore Potenza e Matera erano mete raggiungibili. Poi si è rotto qualcosa. Nonostante i fedelissimi e i nuovi amici si siano moltiplicati come i pani e come i pesci Renzi dalla Basilicata si tiene lontano”.
ùCon due eccezioni. La prima in casa Fiat a Melfi ospite di Elkann e Marchionne. Era il 28 maggio scorso: insieme ai vertici dell’azienda che in Basilicata produce le Jeep, il premier lanciò messaggi ad urbi et orbi sulla ciambella uscita con il buco con tanto di primi dati da record del Jobs act. Visita blitz con la Basilicata solo fuori dai cancelli. La seconda più recente: a dicembre scorso per un altro tocca e fuggi. Questa volta a Potenza. A sorpresa Renzi il 9 dicembre piombò al funerale di Antonio Luongo, il segretario regionale dem lucano, fedele d’alemiano con il quale pure non erano mancati gli scontri politici. In quell’occasione il premier per la prima volta commosse tutti i colonnelli del suo partito con un discorso senza fronzoli. Ma fu solo un episodio.
Insomma anche prima della grana Tempa Rossa Renzi era evidentemente diffidente della classe dirigente locale Pd. Eppure in testa alla sua truppa lucana c’è addirittura il presidente della Regione, Marcello Pittella che proprio per coerenza e fedeltà ha assunto posizioni scomode (nella valle del petrolio) su trivelle e referendum, non seguendo il turbo ambientalismo di Michele Emiliano. Il presidente lucano nella terra in cui si chiedeva lo scontro con il governo nazionale non ha mai accettato di percorrere facili scorciatoie populiste. E’ rimasto fermo tra la richiesta di maggiori ricompense per l’estrazione del greggio e la volontà di non rompere con il suo leader.
Il punto è che lucano è pure Roberto Speranza che della lotta alla leadership di partito del premier ne ha fatto il proprio pass per un futuro da generale a Roma. La storia ha origini antiche. La Basilicata, superando pure la Puglia, è stata la regione più dalemiana e poi bersaniana del Mezzogiorno (e non solo). Una regione, l’unica al Sud, in cui il berlusconismo non ha mai fatto breccia. Anzi. Oggi rischia di diventare una vera e propria spina o una rinnovata occasione. Di fatto Potenza è diventata terreno di scontro tra il premier e la magistratura.
Certo, il premier prima o poi dovrà farsi vedere tra i Sassi della città vincitrice della titolarità di capitale europea della cultura 2019, si dice tra i dirigenti Pd localo. Ma questa forse non era la migliore occasione: due giorni dopo la conversazione tra la ministra Boschi e i pm e il giorno prima dell’audizione nel tribunale di Potenza della ex ministra Guidi. Insomma a ogni passo oggi si rischia di scivolare. Non a caso anche Angelino Alfano ha disfatto le valigie per Matera dopo l’esplosione dello scandalo petrolio. Il ministro dell’Interno era atteso per sabato. Insomma la Basilicata è off limits.
Non per tutti. Cavalca l’onda Speranza che a Potenza ci torna eccome: farà da testimone a una manifestazione a favore del “sì” referendario: “Non vorrei che si pensasse che tutto il Pd fugge dalla Basilicata”. Insomma la partita è totale e la piccola Basilicata (popolosa come un quartiere di Roma) per ora si è aggiudicata il ruolo di campo centrale tra petrolio, inchieste e scontro frontale tra le due anime del Pd. In attesa che Renzi ritrovi la strada e mantenga fede all’impegno nuovamente assunto con Pittella. Perché comunque il premier pur restando lontano mercoledì mattina ha spalancato le porte di Palazzo Chigi al governatore lucano promettendo di scendere in Basilicata entro la fine di maggio.