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Come riformare la riforma delle Bcc

iccrea, bcc

In attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del testo definitivo della riforma delle Bcc approvato il 6 aprile scorso al Senato, è scattata la fase due della riforma, quella più importante e che doveva essere affrontata già diversi anni fa: la definizione del modello industriale del credito cooperativo, ossia del Gruppo Bancario Cooperativo (GBC) o dei Gruppi Bancari Cooperativi. Stiamo parlando della vera riforma del Credito Cooperativo, ossia della capacità delle Bcc di adattarsi alle nuove sfide del mercato che il nuovo quadro normativo dovrebbe agevolare, ma che, invece rischia, addirittura, di peggiorare, perché è bene ricordare che, seppur continueranno ad esistere ed operare tutti i consigli di amministrazione delle Bcc eletti dall’assemblea dei soci, il GBC e le singole banche aderenti saranno considerate esattamente alla stregua di tutte le altre banche vigilate dalla BCE e, per delega, dalla stessa Banca d’Italia.

Tralasciando le 3 o 4 Bcc che usufruiranno della “particolare” way out creata appositamente per loro, tutte le altre 360 Bcc avranno 18 mesi di tempo dall’entrata in vigore delle norme attuative del Mef e della Banca d’Italia per costituire la potenziale banca capogruppo (o le potenziali capogruppo) ed inviare all’organo di vigilanza la documentazione prevista. Conseguentemente, la sfida, di non facile soluzione, che le Bcc si apprestano ad affrontare è, sia di natura tecnica, che politica. Le resistenze al cambiamento sono notevoli e la legge appena approvata in via definitiva rischia di aggravare una situazione già difficile qualora il credito cooperativo, chiamato ora a confrontarsi e a competere con i grandi gruppi bancari, non riesca a risolvere i veri problemi che si segnalano da tempo: governance, efficienza ed innovazione!

Con l’introduzione, da parte della Camera dei deputati, della norma che consente al MEF di ridurre (sotto il 50%) la soglia di partecipazione delle Bcc al capitale della capogruppo per esigenze di stabilità del gruppo stesso, la necessità di cambiamento del credito cooperativo diventa ancora più attuale ed urgente se non si vuole consegnare in tempi brevi l’intero sistema ai grandi gruppi bancari e finanziari internazionali. In altre parole, anche grazie all’introduzione della predetta norma, il credito cooperativo è costretto a produrre un progetto industriale serio, efficace e, soprattutto, scevro da quelle logiche politiche che hanno caratterizzato sino ad ora, nel bene e nel male, l’intero sistema. Occorre, cioè, riformare la riforma delle Bcc appena approvata, o quanto meno coloro che l’hanno proposta, introducendo concetti di meritocrazia, competenza e trasparenza nella governance della capogruppo e, conseguentemente, delle BCC aderenti al gruppo.

Tra le numerose modifiche apportate nel corso dell’esame da parte della Camera dei deputati e che attengono alla nuova ripartizione dei poteri tra Mef e Banca d’Italia, ce n’è una, in particolare, che lascia intravedere uno spiraglio positivo perché obbliga ad intraprendere la direzione indicata. Si tratta del nuovo comma 7-bis dell’art. 37-bis con il quale si prevede che la Banca d’Italia, al fine di assicurare la sana e prudente gestione, la competitività e l’efficienza del GBC, detta disposizioni con riferimento ai requisiti minimi organizzativi ed operativi della capogruppo, al contenuto minimo del contratto di coesione, alle caratteristiche della garanzia in solido delle obbligazioni assunte dalla capogruppo e dalle Bcc aderenti, al procedimento per la costituzione del gruppo e all’adesione al medesimo. Indubbiamente, l’aver previsto concetti di competitività ed efficienza per il GBC sui quali la Banca d’Italia fornirà disposizioni specifiche di attuazione, costringe il sistema a convergere verso un’unica o più capogruppo aventi i predetti requisiti.

Al momento, l’unico piano industriale concreto contenente i citati requisiti resta quello presentato da Cassa Centrale Banca lo scorso anno alla borsa valori di Milano durante il processo di riforma. In attesa di conoscere quello di Iccrea Holding SpA, la quale ha dichiarato il 4 marzo scorso di attendere l’approvazione definitiva della legge di riforma delle Bcc, è iniziato il braccio di ferro tra i due soggetti per imporre il proprio modello industriale e tentare di evitare la costituzione più gruppi. A prescindere da quella che sarà la scelta finale, gruppo unico o più gruppi, è ovvio che la possibilità di successo del credito cooperativo ed il mantenimento della maggioranza del capitale della capogruppo o delle capogruppo in mano alle Bcc dipenderà dalla capacità di elaborare ed attuare piani industriali in grado di preoccuparsi, non solo del requisito minimo del patrimonio imposto dalla normativa, ma anche della capacità prospettica di produrre reddito in un contesto di tassi di interesse particolarmente bassi e, dunque, della capacità di incidere sia sul mercato (competitività e innovazione) che sul cost-income (efficienza), inteso quale rapporto tra i costi operativi e il margine di intermediazione.

Ecco allora che, nonostante l’inusuale assenza dei sindacati registrata sino ad ora, saranno proprio i lavoratori dipendenti a dover sopportare i maggiori sacrifici richiesti dalla nuova legge di riforma delle Bcc. L’unica speranza, per questi e per l’intero sistema del credito cooperativo, è che (a) si inizi a distinguere tra Bcc virtuose e banche deficitarie, il cui numero, tra l’altro, è in continuo aumento, e che (b) si interrompa quell’antica ed obsoleta pratica che ha visto mescolare le piccole mele marce insieme a quelle più grandi nella convinzione di migliorarne la qualità media (anche in considerazione del fatto che le Bcc medio-grandi stanno mostrando maggiori problematicità rispetto a quelle piccole o medio-piccole).

Solo attraverso specifici piani di risanamento portati avanti con trasparenza e competenza da chi non ha prodotto situazioni di dissesto (o comunque da chi non ha operato in un’ottica politica), si potrà tentare un’applicazione positiva della nuova legge di riforma, atteso che anche le Bcc virtuose saranno costrette a ristrutturarsi per riuscire a resistere al nuovo contesto competitivo internazionale. In altri termini, si intende affermare che, un conto è procedere con tagli occupazionali trasversali uguali per tutte le Bcc, altra cosa è, invece, incidere, caso per caso, in funzione dell’andamento gestionale e prospettico di ciascuna banca, analogamente a quanto accade per tutte le altre aziende non bancarie. A tal proposito, il corretto utilizzo del fondo temporaneo introdotto con l’art. 2-bis segnerà il primo spartiacque tra la fine del credito cooperativo e la sua possibilità di sopravvivenza. Proprio sul corretto utilizzo del fondo temporaneo, la Bcc di Civitanova Marche e Montecosaro vigilerà e presterà particolare attenzione, sia nel proprio interesse che di quello dell’intero sistema.


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