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Ecco chi produce i componenti per le bombe di Isis

Isis

Secondo un rapporto del Conflict Armament Research (CAR) commissionato dell’UE e pubblicato recentemente, lo Stato Islamico avrebbe poca difficoltà nel reperire i componenti necessari per la fabbricazione di IED – Improvised Explosive Device.

L’analisi si basa su indagini condotte tra Siria ed Iraq nell’arco di venti mesi (luglio 2014 – febbraio 2016). I ritrovamenti fatti sul campo e gli studi hanno evidenziato che una cinquantina di società provenienti da 20 paesi differenti sono coinvolte in un modo o nell’altro, e spesso inconsapevolmente, nella fornitura di componenti necessari per la fabbricazione ed il successivo utilizzo di bombe da parte dell’ISIS. Questo tipo di dispositivi impiegati contro popolazioni civili ed assetti militari è responsabile di un numero elevato di vittime, diventando il marchio di fabbrica delle azioni di guerriglia condotte dall’ISIS nei territori a cavallo tra Siria ed Iraq.

L’indagine mette in luce, inoltre, come lo Stato Islamico è molto rapido nella sua capacità di procurarsi i componenti di cui ha bisogno per le sue azioni di guerriglia: in molti casi il lasso di tempo che passa quando un componente viene importato legalmente e l’arrivo al cliente finale (ISIS) è relativamente stretto, da 1 a 6 mesi.

Questa compressione dei tempi è figlia di un cambiamento di strategia da parte del Califfato. In passato gli attentati avvenivano attraverso il passaggio di una lunga preparazione psicologica e religiosa perpetrata sugli individui che si trasformavano poi in kamikaze. La maggiore “manovalanza” oggi consente di accorciare i tempi e quindi di essere più veloci e letali.

I COMPONENTI DEGLI ORDIGNI

Oltre 700 componenti, cavi, prodotti chimici e altri prodotti reperibili per uso civile e per il settore minerario oppure agricolo – come fertilizzanti – sarebbero utilizzati per la fabbricazione di esplosivi artigianali. Attraverso la fornitura di 50 aziende coinvolte (turche, cinesi, russe, indiane, svizzere, austriache e olandesi tra le altre) questi esplosivi sono ormai prodotti su “scala quasi industriale” dall’IS.

Al fine di evitare embarghi e altre restrizioni, lo Stato Islamico per quanto possibile cerca di utilizzare componenti ad uso civile e quindi autorizzati al commercio (telefoni cellulari, transistor elettronici, etc) e facilmente reperibili sul mercato. La commercializzazione di questi piccoli e poco costosi elementi, alcuni dei quali non richiedono titoli di esportazione, non viene sempre monitorato perché legate a moli di traffici immense. Questi componenti civili una volta giunti a destinazione passano attraverso alcune linee di confine altamente porose per avere come utilizzatore finale sigle terroristiche e ribelli.

Va ricordato che molti componenti che possono essere utilizzati nella fabbricazione di esplosivi artigianali, come pasta di alluminio e urea, sono di uso comune in alcuni settori aziendali. È la miscelazione delle varie componenti che le rende un ordigno. Lo Stato islamico dispone le componenti chimiche a seconda dell’obiettivo da colpire: è sufficiente una semplice cucina di casa per mettere insieme i composti e creare così una bomba artigianale, inserita in serbatoi e fusti contenitori, a cui poi vengono aggiunti chiodi e bulloni per una maggiore azione distruttrice.

Nel rapporto si evidenzia, però, come un particolare tipo di telefono cellulare sia impiegato per far detonare gli esplosivi a distanza. Si tratta di un Nokia 105 di uso comune nei Paesi dell’area mediorientale per via del suo prezzo accessibile e per la facile reperibilità sul mercato. 

Gli IED possono essere di varie dimensioni e forme contenendo quantitativi differenti di esplosivo. Ad oggi le varie tipologie impiegate sono: la cintura esplosiva, il corpetto, lo zaino fino ad arrivare all’autobomba corazzata – Vehicle borne IEDs (VBIEDs) – veri e propri mostri blindati usati spesso per sfondare le linee nemiche.

I PAESI DELLA FILIERA

Come viene spiegato nel rapporto, il Paese più rappresentato in questa filiera del traffico di componenti è la Turchia, presente con un totale di 13 aziende su 50. Una predominanza che gli autori del rapporto ritengono collegata a ragioni di vicinanza geografica, e alla sviluppata industria mineraria ed agricola, che utilizzano molte delle sostanze chimiche richieste per la fabbricazione dei IED sarebbero i facilitatori di questo fiorente commercio. Va ricordato che delle 13 società che fanno riferimento alla Turchia, 8 sono essenzialmente di intermediarie per prodotti realizzati altrove, ovvero in: Brasile, Cina, India, Paesi Bassi, Romania e Russia.

L’India è al secondo posto con 7 aziende in questa classifica: le connessioni sono legate alla produzione di detonatori e cavi destinati principalmente al settore minerario. Tutto questo materiale viene esportato legalmente tramite licenze emesse in India e ricevuto tramite società installate in Libano e Turchia per poi finire nelle mani dell’ISIS.

I CONTROLLI

Secondo James Bevan, amministratore delegato di CAR, incoraggiare i fornitori ad avere efficaci sistemi di contabilità per determinare la destinazione della merce avrebbe un effetto deterrente. Ma la riluttanza o semplicemente la mancanza di controllo rimane una barriera. Il governo turco, per esempio, si sarebbe rifiutato di cooperare con l’inchiesta, non permettendo di determinare l’efficacia della legislazione turca in vigore sui componenti oggetto dello studio. Allo stesso modo, gli autori del rapporto dichiarano che hanno cercato di contattare le società coinvolte, ma aggiungono che non hanno ricevuto risposta, oppure queste non erano in grado di dire dove le merci siano state effettivamente recapitate una volta vendute.


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