“Il Foglio”, 7 aprile 2016
“Ehi, guardate! Il re è nudo!”. Sembrerebbero queste le parole ingenue che Francesco Forte fa dire all’“uomo intero” einaudiano, posto di fronte alle sofisticate simulazioni economiche dell’“uomo scisso” keynesiano”. Il mondo di quest’ultimo è rigorosamente suddiviso in compartimenti stagni, dove il risparmiatore non è investitore, il consumatore non è risparmiatore e il proprietario non detiene il controllo. Un mondo in cui le regole della politica economica cozzano con quelle del “buon governo”. Se per quest’ultimo valgono le norme del buon padre di famiglia e del piccolo proprietario, come il rispetto, la fiducia, la responsabilità, il sacrificio, la lungimiranza, per il primo invece bisognerebbe ricorrere a soluzioni artificiose, a terapie illusionistiche, in grado di ovviare alla inevitabile scarsità di risparmio e ottenere automaticamente il pieno impiego. Il recente libro di Forte, pubblicato da IBL Libri e intitolato Einaudi versus Keynes, è un prezioso strumento per chiunque voglia tentare di comprendere le ragioni dello sviluppo e le cause delle crisi, senza cadere nei dogmatismi e farsi impressionare dalle conseguenti scomuniche. Il volume è ampio e articolato in sei capitoli, più una sezione conclusiva, con la quale l’Autore intende tirare le fila del discorso e leggere gli avvenimenti recenti che hanno contrassegnato il processo di mancato sviluppo del continente europeo e, particolarmente, del nostro Paese.
In questo quadro problematico, l’Autore individua nella figura di due giganti del pensiero economico contemporaneo, Einaudi e Keynes, gli archetipi di due prospettive antropologiche che egli sintetizza, rispettivamente, con le felici espressioni: “uomo intero” e “uomo scisso”. Per Forte l’archetipo dell’economista dell’uomo scisso è John Maynard Keynes, al quale appartiene un’idea “tecnocratica” della democrazia e dell’intervento pubblico in economia, in netta contrapposizione con quella visione liberale che il nostro Autore chiama “liberalesimo”.
Il “paradigma tecnocratico” keynesiano dell’uomo scisso si basa su un presupposto teorico: l’homo oeconomicus, individuo incapace di trascendere il proprio tornaconto personale, condito da un non indifferente grado di perfettismo razionalistico e utilitaristico. In forza di tale presupposto, Keynes potrà scrivere: «Ho detto in un altro contesto che nel “lungo periodo” c’è uno svantaggio, saremo tutti morti. Ma avrei potuto dire ugualmente che c’è un grande vantaggio del “breve periodo”, che saremo ancora vivi». Ciò comporta che il lungo periodo non sia altro che una somma di tanti brevi periodi e massimizzare la funzione di utilità nel breve sia l’unica cosa che realmente debba interessare l’economista.
Al contrario, il “paradigma personalista” einaudiano dell’uomo intero si basa sul presupposto che ad agire sia sempre la persona: «Un complesso e misterioso miscuglio di istinti egoistici e di sentimenti morali e religiosi, di passioni violente e di amori puri». Per Forte, l’uomo intero di Einaudi è l’uomo comune, il quale si realizza quando è “signore della propria casa”, e quando esprime tale signoria con dignità, insieme ai propri affetti familiari. È proprio questo intreccio di affetti e di disponibilità dei beni che esprime la libertà dell’uomo intero. Il modello di economia che ne discende è quello della proprietà diffusa e del controllo dell’investimento da parte di chi lavora e risparmia. È evidente che l’uomo intero di Einaudi non considera neppure l’ipotesi che dopo di lui ci sia il diluvio: nel lungo periodo sopravvivranno i nostri figli.
Un secondo aspetto del “paradigma tecnocratico” keynesiano vede la concorrenza fra molti sostituita da quella fra grandi gruppi: è il «capitalismo delle grandi imprese industriali e finanziarie, governate da una tecnostruttura elitaria». In tal senso il modello keynesiano può dirsi liberista, in quanto interessa la dinamica di una particolare versione del mercato neocapitalistico, che, in nome dell’efficienza e della specializzazione, può dar luogo a fenomeni di monopolio.
Nel “paradigma personalista” einaudiano, invece, il modello di concorrenza è quello tipico del liberalismo delle regole o popolare ovvero, secondo la terminologia tedesca, dell’ordoliberalismo che si implementa nell’esperienza dell’economia sociale di mercato. Si tratta della concorrenza fra una miriade di piccoli operatori, i quali non si esclude che possano diventare medi e grandi. È questo il senso del “buon governo” einaudiano, inteso come «quel modo saggiamente prudente di amministrare che usavano nelle faccende private».
Il quadro economico descritto da Forte rinvia ad un ideale economico in cui assume rilevanza l’elemento qualitativo del risparmio, dell’investimento e del consumo. Disoccupazione e sottoccupazione sono certo collegate alla carenza di risparmio e hanno a che fare anche con i consumi, ma per Einaudi risparmio-investimento-consumo sono in capo allo stesso soggetto: la persona. Parliamo del risparmio investito in progetti imprenditoriali ad alto valore aggiunto, i quali sono tali se incrociano un’alta produttività del lavoro: «La disoccupazione e il sottosviluppo si combattono mediate un’offerta dotata di reale produttività e quindi di profitto. Questo è il vero motore dello sviluppo. E ciò si ottiene accrescendo il capitale fisico e quello umano, quindi con il risparmio privato e pubblico che genera investimento, nei tempi lunghi e nel clima di concorrenza, che suscita energie imprenditoriali».