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Expo, ecco come la realtà ha sconfessato le teorie di Camusso e Grillo

Susanna Camusso

L’effetto Expo su Milano continua anche dopo la sua chiusura. Infatti, nei primi due mesi di quest’anno, c’è stato un boom di turisti. In questo pur breve periodo di tempo, le presenze nel capoluogo lombardo sono state di 1,5 milioni. I dati sono ufficiali e certi perché si riferiscono al consuntivo della tassa di soggiorno. Carta canta, quindi.

Le stanze occupate nei vari alberghi sono state tra il 60 e il 70% di quelle disponibili. Una percentuale da record, soprattutto se si tiene presente che essa si riferisce a una stagione tutto sommato morta. Primo, perché coincide con la stagione invernale e Milano non è certo una città da neve. E, secondo, perché la stagione presa in considerazione per questo consuntivo è relativa a un periodo di tempo nel quale non ci sono i grandi appuntamenti fieristici o di sfilate che contribuiscono a rendere ancor più appealing la capitale lombarda.

Le cose sono quindi andate molto meglio di quanto prevedevano i frenatori per i quali l’Expo era solo un’occasione di dissipazione del denaro pubblico, di diffusione della mafia più ancora di quanto non sia già presente in questa città ricca, di tangenti per i maneggioni, che, quando si tratta di fare grandi lavori pubblici, arrivano sempre e sono famelici come le api sui fiori di maggio.

Molti ricorderanno (perché lo spottone è ancora sul web e merita di essere rivisto) la piazzata di Beppe Grillo che, andato nei cantieri dell’Expo e piazzato davanti a un marciapiede in costruzione, gridava: “Dicono che qui verranno milioni di persone! A Pero-Rho! Ma chi volete che sappia dov’è Pero-Rho? Anche se fosse Melo-Rho sarebbe la stessa cosa! Qui, al massimo, verranno 10 mila persone!”. Ne sono arrivate 21 milioni e mezzo. L’errore fatto non è stato di poco conto. Ma Grillo non è un uomo di consuntivi.

Tra i frenatori c’erano anche i giornalisti di quasi tutti i media che, fino a una settimana prima della sua inaugurazione, scommettevano che l’Expo non sarebbe riuscita nemmeno a rispettare la data di apertura che invece avvenne regolarmente. Anche la segretaria della Cgil, Susanna Camusso (non si sa a che titolo), cercò di mettere pure lei i bastoni fra le ruote dell’Expo. Invece, se non altro per il mestiere che fa, avrebbe dovuto agevolarlo, perché, in questa stagione di disoccupazione alluvionale, creava dei posti di lavoro. In Comune di Milano intanto l’ultrasinistra faceva le barricate, chiedeva verifiche, imponeva audizioni, stilava ultimatum. Il successo di Expo (anche se era il successo di un intero Paese) veniva vissuto come intollerabile. Un’onta da impedire e, se proprio ci fosse stata, da lavare, in un modo o nell’altro.

Fortunatamente (come dimostra il bilancio turistico dei primi due mesi dell’anno) le cose sono andate in modo molto diverso. E gli effetti positivi di questo grande evento si fanno sentire anche con altre ricadute come il Tecnopolo che sta sorgendo sull’area dell’Expo e che costituirà il volàno per ricerche biotecnologiche a livello mondiale, trasformando Milano in un crocevia scientifico che, in aggiunta al Tecnopolo (che sarà il pivot di tutto il nuovo), si avvale già del più grande polo universitario italiano, dove infatti coabitano le più grandi e prestigiose università private (dalla Bocconi alla Cattolica, allo Iulm, all’Humanitas, al San Raffaele) con le grandi e storiche università pubbliche come la Statale e il Politecnico.

I frenatori (che sono stati provati dal successo dell’Expo ma che non ne sono stati domati) sono infaticabili perché obbediscono a un meccanismo compulsivo destinato a bloccare il nuovo, in qualsiasi modo esso si presenti. Anche se il nuovo crea occupazione, genera ricchezza, provoca sviluppo. Per costoro, ciò che conta è opporsi. Come se fossero eterni adolescenti, essi dicono di no, arrivando persino a imporre la riduzione di cinque piani della torre delle residenze della Bocconi anche se questa struttura consente a questa università prestigiosa di accrescere il numero di docenti e studenti internazionali, che sono indispensabili (come simbolo e sostanza) nel mondo della mondializzazione. Ma ai frenatori non piace la mondializzazione. E nemmeno il suo opposto, a dire il vero. Infatti, il frenatore non è interessato al volante. Gli piace solo il freno ed è felice come un monello quando riesce a bloccare tutto. Tanto, per lui, spesso, corre lo stipendio pubblico, e del pil, signori miei, se ne può fare un baffo. Fin che dura, è ovvio.

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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