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Cosa penso del caso di Federica Guidi

Federica Guidi

In queste giornate di volgare ma inevitabile irriverenza contro un Governo assalito per varie vicende a noi note, la mia attenzione va a Federica Guidi, prendendo le distanze dalla rappresentazione di vittima sentimentale della situazione in cui si è trovata e colpendo anche la persona/donna sottoponendola ad una ridicola difesa al sentimentalismo femminile. Vero è che le intercettazioni sul caso di specie hanno fatto scoppiare la pentola a pressione di un malcontento che sarà inevitabilmente devastante per noi italiani. Sono convinta, per esperienza diretta nell’aver frequentato a lungo le anticamere dei sottopancia dei potenti per dare idee tecniche – “…ci prepari professoressa una paginetta tecnica su possibili proposte di politiche del welfare” che raramente sono state poi prese seriamente in considerazione – che chiunque abbia un minimo di intelligenza sia colpito dalle perplessità classiche su che consentire costituzionalmente riguardo i «limiti al potere politico e all’onnipotenza del legislatore» in uno stato di diritto il quale, ponendole come limiti interni «allo stesso sistema giuridico», ha «introiettato in una certa misura il vecchio diritto naturale, privandolo sotto questo aspetto della sua ragione d’essere», poiché appaiono pertinenti anche al problema della corruzione politica.

Infatti, l’eclisse del diritto naturale come costellazione di riferimento per la legislazione ha in qualche modo favorito il diffondersi di quella credenza nell’onnipotenza del legislatore e della classe politica che, in modo più o meno consapevole, è alla base della ‘teoria politica e giuridica’. Analizzando la situazione di Federica Guidi che conosco e alla quale va comunque la mia solidarietà umana ma non politica, con una certa dose di cinismo e lucidità è spontaneo osservare che lei si è limitata a giustificare il proprio comportamento facendo riferimento ad una concezione dei limiti del potere politico largamente condivisa la quale, per l’appunto, è la logica conseguenza della mancanza dei limiti alla legislazione propria del sistema democratico che non riconosce altro diritto oltre a quello che promana dalle decisioni della maggioranza.

In termini più espliciti si cerca da parte di Renzi ma anche di altri prima di lui, di muoversi dalla credenza che l’intervento dello stato sia necessario per trovare una soluzione razionale e giusta a problemi che la libera dinamica sociale non consente di risolvere per il prevalere degli interessi individuali, e contemporaneamente credere che tali problemi possano essere risolti da una classe politica ipotizzata come non soggetta alle medesime passioni. Ma questa teoria raccontata più volte ma osteggiata ovviamente da chi liberale e democratico si oppone allo stato interventista oggi si evidenzia nel fatto che gran parte di tali interventi sono finalizzati alla possibilità di trarne vantaggi illeciti, e che la procedura democratica per l’assegnazione del potere non garantisce affatto sulla sua trasparenza, bontà e benevolenza. In buona sostanza, per quanto sia un imperativo morale irrinunciabile, è e sarà sempre più difficile sperare che la corruzione possa essere completamente eliminata dalla vita politica, e che nelle scelte dei governanti non interferiscano considerazioni di carattere elettorale.

Ciò che invece è realistico pretendere è di evitare che tali scelte vengano compiute sulla base di un calcolo economico avente per oggetto i vantaggi in termini di introiti illeciti per i singoli o per i partiti. E per avere qualche possibilità di conseguire questi risultati, oltre al super Cantone che sta cercando di mettere in fila i danni e ridurli, ad una riformulazione delle norme relative agli appalti, alla gestione degli enti pubblici, e al controllo dell’operato del personale a ciò preposto, occorre soprattutto chiedersi quali modelli di regime politico siano maggiormente esposti al pericolo della corruzione, e quali offrano le maggiori possibilità di controllare gli abusi di chi detiene il potere. È per questo che le tradizionali apprensioni della politica liberale sulle conseguenze indesiderate connesse all’estensione delle attribuzioni dello stato sono quanto mai attuali, come pure essenziale è che a fissare i limiti della sua attività non siano gli stessi politici. Ma per far questo, più che discutere sul modo in cui selezionare e scegliere i migliori governanti e affidare loro il potere augurandoci che non ne abusino come è stato fatto, è importante elaborare delle istituzioni che impediscano, anche ai cattivi governanti, di provocare danni irreparabili.

Quanto a Federica Guidi e alle sue affermazioni e confidenze telefoniche che l’hanno massacrata, quando ha accettato l’incarico sapeva bene in che situazione si andava a trovare per la delicatezza del dicastero a lei assegnato. Ma il potere dà alla testa di uomini e donne che ne hanno annusato l’odore e hanno assunto la bulimica arroganza come compagna abiurando il buonsenso, ne ho conosciute tante. Devastante.

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