Si potrebbe dire “mal comune mezzo gaudio”. Non è infatti solo il presidente dell’Inps Tito Boeri a lanciare l’allarme, a prevedere una vita lavorativa fino ai 75 anni se non si trovano vie alternative per finanziare la previdenza sociale, o meglio le pensioni.
Anche il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäube ha espresso l’altro ieri un’analoga preoccupazione. I tedeschi al pari degli italiani rischiano di dover lavorare in futuro molto più a lungo. Che si possa fare, lo dimostra lui stesso, che di anni ne ha 73 ed è per quel che riguarda la permanenza nella Bundestag è il membro più anziano. E questo nonostante sia inchiodato dal 1990, in seguito a un attentato, su una sedia a rotelle. Lui non si è mai risparmiato. Schäuble sa però, che la maggior parte dei suoi connazionali non aspira affatto a seguire le sue orme. E così, la notizia capeggiava ieri, con titoli allarmati su siti dei grandi giornali tedeschi. “Secondo Schäuble vita lavorativa e aspettativa di vita devono in futuro andare di pari passo” spiegava lo Spiegel online. Il sito della Welt riportava invece la seguente frase del ministro: “Dobbiamo prepararci alla svolta demografica”. I tedeschi fanno sempre meno figli, mentre le persone diventano sempre più anziane e anche le spese per l’accudimento delle stesse aumenta.
Schäuble ha lanciato l’allarme partendo da quanto un recente rapporto Osce suggeriva alla Germania. Secondo l’Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione, infatti, l’adeguamento sarà inevitabile per i paesi più industrializzati. Dunque anche per la Germania. E se il paese continuerà a non prendere atto della situazione, il costo della previdenza ammonterà nel 2060 al 2,5 per cento del Pil.
L’ultima riforma previdenziale risale ancora al pacchetto di riforme entrate in vigore nel 2005 sotto il governo dell’allora socialdemocratico Gerhard Schröder. La stessa prevede un graduale aumento dell’età pensionabile fino a raggiungere nel 2029 i 67 anni per tutti. Ma anche Schröder aveva fatto un passo nella giusta direzione, ora bisogna farne un ulteriore ammonisce Schäuble. Perché il sistema tedesco che fa perno su tre pilastri – cioè previdenza pubblica, fondi privati e trattamento di fine rapporto – potrà funzionare solo nella misura in cui si procederà passo passo anche a un innalzamento dell’età.
Sarà dura però duro far digerire il proposito dai socialdemocratici che sono riusciti per i lavoratori con oltre 40 anni di contributi a far si che possano andare in pensione senza decurtazioni. E, infatti, la prima reazione dell’Spd è stata la chiusura totale. Non solo, minacciano di far diventare il tema pensioni il loro cavallo di battaglia nella campagna elettorale per le parlamentari in programma nel settembre 2017. I socialdemocratici non hanno peraltro dimenticato che fino a ora non è riuscito loro di mantenere la promessa fatta nelle politiche del 2013. E cioè di aumentare il contributo previdenziale riconosciuto dallo stato dal 47 per cento dello stipendio a poco più del 50 per cento. Attualmente chi ha guadagnato in media e nel corso di 40 anni 2097 euro al mese, riceve oggi poco più di 850 euro al mese dallo stato. A ciò si aggiunge che i bassi tassi di interesse hanno reso meno appetibile il secondo pilastro del sistema tedesco e cioè quello dell’integrazione attraverso fondi previdenziali.
Che il problema dell’invecchiamento della società finirà per essere uno dei temi cruciali del prossimo futuro lo pensa anche Clemens Fuest, il nuovo direttore del più prestigioso istituto di ricerca economica tedesco, l’Ifo di Monaco. Fuest rispondendo alla Welt punta il dito contro le mancate riforme strutturali. E i primi effetti si cominciano a manifestare in modo preoccupante. La bassa crescita economica è dovuta per esempio alla drastica diminuzione di nuove imprese. Il numero di queste si è ridotto dal 2010 a oggi del 40 per cento, nel comparto delle tecnologie avanzate la riduzione è addirittura del 50 per cento. E il motivo è evidente: la diminuzione della fascia di popolazione tra i 30-45 anni, che è poi quello che in passato dava vita a nuove imprese. Lo stesso discorso si potrebbe fare per il volume di investimenti, anche questo in forte calo e un ulteriore indicatore dell’invecchiamento della società.
Se i socialdemocratici non vogliono sentir parlare di un prolungamento dell’età lavorativa, i giovani cristianodemocratici (Cdu) si sono mostrati invece aperti all’idea lanciata da Schäuble. Loro sarebbero d’accordo con un progressivo innalzamento dai 67 ai 70 anni a partire dal 2030. “È l’unico modo per evitare che il livello delle pensioni scenda sempre di più” ha detto il loro portavoce Paul Ziemiak al Rheinische Post. Anche in questo caso di tratterebbe di un adeguamento graduale. Chi è nato nel 1985 lavorerebbe fino a 67,5 anni, mentre il 70 anni diverrebbero tassativi per tutti a partire dal 2100.