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Giulio Regeni e la repressione politica in Egitto

Regeni

Per settimane dopo la sua morte, il governo egiziano non è riuscito a offrire una spiegazione credibile e univoca sulla morte di Giulio Regeni, il ricercatore friulano dell’Università di Cambridge il cui corpo è stato trovato martoriato e seviziato lo scorso 3 febbraio, 10 giorni dopo la sua scomparsa dal centro del Cairo.

ITALIA-EGITTO: I RAPPORTI VACILLANO

I rapporti diplomatici tra Italia e Egitto sono deteriorati. A far precipitare la situazione è stato il fallimento del vertice romano di venerdì tra gli investigatori italiani e quelli egiziani che, stando agli ambienti giudiziari di piazzale Clodio, hanno portato con sé dossier incompleti e deludenti, senza fornire neppure i tabulati telefonici richiesti dall’Italia. Mentre si scopre oggi, come racconta oggi la Repubblica, che il team investigativo italiano al Cairo è stato seguito e intercettato da apparati egiziani. A questo punto l’Italia si prepara ad adottare il primo dei provvedimenti annunciati, il richiamo a Roma per consultazioni dell’ambasciatore al Cairo, Maurizio Massari. Una decisione «necessaria» – per ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni – per «valutare con urgenza iniziative più opportune per rilanciare l’impegno volto ad accertare la verità sul barbaro omicidio di Regeni». Ma l’esecutivo non esclude altre reazioni, come racconta oggi il Corriere della Sera.

LE PRIME VERSIONI DEI FATTI

La decisione è il frutto di due mesi di estenuanti tentativi di collaborazione e richieste di verità da parte del governo italiano. Che si erano tradotte in una valanga di menzogne.

Secondo la prima versione dei fatti fornita dai funzionari di sicurezza egiziani Regeni, che era in Egitto a studiare e approfondire i movimenti sindacali indipendenti, era rimasto ucciso in un incidente d’auto o era stato vittima di criminali locali. I funzionari italiani, allora, avevano chiesto l’apertura di un’indagine completa, e il pubblico ministero egiziano incaricato del caso, Ahmed Nagi, aveva spiegato che Regeni era morto di una «morte lenta».

Poi, il 24 marzo, il Ministero dell’Interno egiziano aveva annunciato di aver ucciso quattro membri di una banda accusati di sequestro di persona e rapina a danno di stranieri in Egitto. La prova principale che gli inquirenti avevano fornito a supporto della loro tesi era il ritrovamento degli effetti personali di Regeni, tra cui i suoi documenti, due telefoni cellulari e le sue carte di credito, nell’abitazione di uno dei rapinatori. La versione egiziana era stata immediatamente giudicata poco credibile da diversi osservatori e politici italiani. L’ex primo ministro Enrico Letta, ad esempio, aveva twittato poco dopo: «Mi dispiace, io non ci credo».

LE VERSIONI SUCCESSIVE (POI SBUGIARDATE)

Infine, le autorità egiziane avevano individuato sospetti specifici implicati nella misteriosa uccisione di Regeni. Ma anche questa versione era stata giudicata inattendibile dalle autorità italiane. Tanto per cominciare, il ministero aveva sostenuto che i sospetti erano morti in una sparatoria, ma le foto della scena del presunto conflitto a fuoco non mostravano uomini armati. Le immagini pubblicate dal quotidiano El Tahrir in Egitto ritraevano i corpi insanguinati di due giovani uomini accasciati sul sedile anteriore di un minibus e fori di proiettile all’altezza del parabrezza del veicolo. Ma non c’era alcuna arma in vista. A smentire ulteriormente la versione delle autorità egiziane era stata anche la testimonianza della famiglia di uno dei sospettati. In un’intervista alla Dream TV network, lo zio di uno dei due uomini uccisi aveva dichiarato che questo era stato arrestato dalla sua casa alle prime luci dell’alba, sparato a distanza ravvicinata e caricato sul minibus.

L’ACCUSA DA PARTE DI INTELLETTUALI E GRUPPI UMANITARI EGIZIANI

Le incongruenze, insomma, sono molte. Forse troppe. Gli analisti dei diritti umani egiziani si sono spinti oltre, sostenendo apertamente e sin da subito che il ministero dell’Interno sta mentendo. «Questo è il più eclatante tentativo da parte del governo di insabbiare la verità, e non funziona così», ha spiegato Mohamed Lotfy, il direttore esecutivo della Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà al Cairo. Almeno 474 persone sono morte per mano delle forze di sicurezza in Egitto nel 2015, secondo il Nadeem Center, un gruppo per i diritti umani con sede al Cairo. Solo pochi casi hanno portato a delle sanzioni nei confronti dei funzionari responsabili.

«È assolutamente una copertura» spiega Omar Ashour, docente presso l’Università di Exeter ed esperto di sicurezza egiziana. «Il fatto che stiano uccidendo i sospetti e operando tutti questi occultamenti, nasconde qualcosa di molto oscuro e profondo. Probabilmente hanno torturato Giulio a morte e non vogliono pagare per questo, perché l’impunità è il segno distintivo dei servizi di sicurezza egiziani sin dagli anni Cinquanta».

«Il caso Regeni rafforza l’idea che quello egiziano non è un regime pienamente consolidato e che ci sono rivalità interne in gioco», aggiunge Michael Wahid Hanna, senior fellow presso la Century Foundation di New York.

LA REPRESSIONE POLITICA IN EGITTO

Il caso Regeni – secondo Jared Malsin del TIME – ha puntato i riflettori sulla «singolare esperienza di repressione politica in Egitto». La polizia egiziana e le agenzie di sicurezza hanno una lunga storia di detenuti torturati, ma gli abusi hanno registrato un’impennata clamorosa a partire dall’estate del 2013, quando i militari hanno deposto Mohamed Morsi, primo presidente del Paese liberamente eletto e membro dei Fratelli Musulmani. Dopo il colpo di Stato militare, le forze di sicurezza egiziane hanno lanciato un giro di vite sugli avversari politici, uccidendo più di un migliaio di persone il 14 agosto 2013, durante lo smantellamento dei campi di protesta organizzati dai sostenitori di Morsi.

ARRESTI ARBITRARI, GENTE SCOMPARSA E DETENZIONI SEGRETE

Sotto il presidente Abdel-Fattah el-Sisi, il comandante delle forze armate che ha rovesciato Morsi, lo Stato egiziano ha ulteriormente ampliato l’uso di arresti arbitrari, in cui le persone svaniscono “inghiottiti” da un sistema di detenzione che il governo rifiuta di riconoscere. Tra dicembre 2015 e marzo 2016, 209 persone sono scomparse, secondo la Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà, una organizzazione che tiene traccia delle sparizioni, e di almeno 105 di questi non si ha ancora traccia.

LE GRAVI RIPERCUSSIONI DIPLOMATICHE

Adesso la morte di Giulio Regeni, le torture prolungate e inspiegabili inflitte al giovane ricercatore, le resistenze e i depistaggi del Cairo rischiano di compromettere in maniera irreparabile i rapporti tra Italia ed Egitto. Rapporti che erano invece nati sotto i migliori auspici: Renzi era stato il primo leader occidentale a recarsi al Cairo nell’estate del 2014 dopo l’elezione di Abdel-Fattah el-Sisi, appena un anno dopo il colpo di Stato militare. Il novello presidente egiziano, a sua volta, scelse proprio l’Italia, pochi mesi dopo, per inaugurare un suo tour europeo all’insegna delle relazioni economiche.

Ma dopo il 3 febbraio, giorno del ritrovamento del cadavere di Giulio, niente potrà tornare come prima.


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