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I vegani cambieranno il mondo?

Il movimento dei vegani e vegetariani ha dimostrato una forte capacità di comunicazione e di attrazione, anche se la campagna anti Cruciani, conduttore della Zanzara, forse ha creato più danni che benefici.

L’aspetto interessante più è che lo storytelling vegano si è progressivamente allontanato dall’essere una scelta personale e individuale, per divenire sempre più una visione del mondo. Ovvero, non divento vegano solo perché credo che sia più salutare ma perché ambisco a cambiare il mondo secondo i valori di questo stile di vita.

Si tratta di un fenomeno abbastanza tipico, che il sociologo Jacques Lolive definisce montée en généralité, letteralmente salita in generalità. Lolive lo riferisce soprattutto alla cosiddetta sindrome Nimby, l’opposizione di una comunità locale alla realizzazione di un’opera sul proprio territorio.

Ad esempio, non si è contrati alla Tav in Val di Susa solo perché si ritiene inopportuna la sua presenza in quel luogo, ma si è contrati alla Tav in generale perché espressione di un modello di sviluppo economico che si vuole contrastare e cambiare.

In questo caso la scelta individuale o locale, si colora di una visione complessiva della società, per la quale l’opposizione alla Tav ne diviene solo un tassello e non il tutto.

Ciò che sta accadendo al movimento vegano è la stessa cosa. Sta sviluppando e comunicando, passo dopo passo, un’articolata ideologia, un insieme di valori e di norme, sulla base delle quali ambisce a modificare la nostra società. Non vogliamo qui dare giudizi di valore, ognuno valuta se questo cambiamento sia desiderabile o meno, semplicemente osserviamo quanto sta accadendo.

È evidente però che quando un movimento, nato sulla base di qualunque idea o preferenza personale, ambisce poi a cambiare la società, inevitabilmente diviene un movimento politico. Politico nel senso più vero e anche nobile del termine. Non a caso nel mondo della comunicazione politica da tempo ci si sta interrogando quanto peso elettorale abbia la cultura vegana e animalista.

Un dato interessante è venuto fuori dal Rapporto Italia 2016 di Eurispes. Secondo l’istituto di ricerche, il 7.1% degli italiani si dichiara vegetariano e l’1% vegano, numeri interessanti soprattutto se si considera che il trend è in crescita.

La ricerca dice però anche un’altra cosa, in contraddizione con lo storytelling vegano. Diminuiscono i contrari alla sperimentazione su animali (-7% rispetto al 2015) alla caccia (-10%) e alle pellicce (-4%). L’unico dato in crescita è la contrarietà all’utilizzo di animali nei circhi, dall’68.3% al 71.4%.

Se da un lato aumentano quelli che abbandonano il consumo di carne, non aumentano ma anzi diminuiscono, quelli che condividono la visione vegana della società.

Quindi – e qui sta la contraddizione con la narrazione vegana – chi smette di consumare carne lo fa prevalentemente per scelta personale e probabilmente salutista, senza necessariamente attribuirgli un valore ideologico o politico.



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