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Il cantiere del Patto di Stabilità visto da Einaudi e Keynes

Il governo italiano ha gettato il sasso nello stagno europeo e la risposta è stata positiva: il Patto di stabilità ha detto, il ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, è “complicato, poco trasparente e flessibile e si adatta male all’economia che cambia“. Questo giudizio è stato condiviso dai 28 ministri delle Finanze dell’Unione Europea (UE) nel corso dell’ultima sessione dell’Ecofin.

L’Italia ed altri sette Stati dell’UE puntano a correggere uno dei parametri chiave del Patto, l’ “output gap”, l’indicatore sulla base del quale vengono valutate le correzioni di bilancio se i Paesi si allontanano dagli obiettivi europei. I sette Stati hanno formulato proposte specifiche in materia ma ci vorrà ancora tempo per capire se tali proposte verranno condivise, ed in che misura, dal resto dell’EU. Si è , però, aperto un cantiere che potrebbe  portare alla revisione del Patto.  Tale cantiere lavorerà in parallelo con le discussioni in atto sulla politica monetaria della Banca centrale europea (Bce) che sono esplose in occasione dell’ultima riunione dell’organo di governo dell’istituto il 21 aprile.

Cosa ne avrebbero pensato economisti come Einaudi e Keynes? Pare una domanda peregrina. Tuttavia, sul presente e sul futuro della politica economica europea si stanno confrontando due visioni dell’economia, anzi, del mondo che hanno le proprie radici proprio nelle differenze tra i due grandi economisti del secolo scorso. Una essenzialmente micro-economica basata sui comportamenti effettivi degli agenti economici (individui, imprese, Stato e via dicendo) e della loro risposta ad incentivi; ed una, invece, basata sul primato della macroeconomia e dell’umanità idealizzata ed astratta che essa sotto-intende.

Si può trarne una risposta dall’ultimo libro di Francesco Forte Enaudi versus Keynes (IBLibri, Torino pp.342 , € 20), un saggio che ha comportato all’autore sei anni di lavoro. Forte (classe 1921) è stato chiamato nel 1961 alla cattedra tenuta da Einaudi all’Università di Torino. E’ stato più volte componente di Governi, nonché editorialista di numerose testate. E’ un liberale “delle regole” al pari di Einaudi , nonché un europeista convinto – è stato anche ministro per il Coordinamento delle politiche comunitarie. In questo contesto, acquista un valore particolare il vasto capitolo quinto del saggio , intitolato “la terza via di Einaudi per l’Unione Europea, fra la politica fiscale e monetaria keynesiana e quella anti-keynesiana“. Nel capitolo vengono esaminati in dettaglio i “principi”, “le regole” e le “prassi” dell’ “economia sociale di mercato”, alla base, sotto molti aspetti, dei Trattati fondanti dell’UE, dal Trattato di Roma a quelli successivi. Viene anche analizzata l’unione monetaria sia nei suoi Trattati istitutivi sia nelle revisioni , tramite accordi inter-governativi, dell’ultimo decennio, quali la creazione dei vari fondi Salva Stati , i salvataggi della Repubblica ellenica e le varie forme di quantitative easing adottate dalla Banca centrale europea (Bce). Sottolinea il nodo centrale con cui si scontra oggi anche il cantiere del Patto di Stabilità:  “Il Trattato di Maastricht non prevede alcun organo deliberativo , lasciando supporre che esso sia il Consiglio Europeo, che è composto dai Capi di Stato e di Governo dell’UE, che delibera a maggioranza qualificata. Ma di fatto gli Stati dell’UE che non fanno parte dell’unione monetaria non avevano titolo per partecipare alle delibere che riguardano i programmi di aggiustamento dell’unione monetaria“. Si è tentato di riparare a questo difetto facendo deliberare gli Stati membri dell’unione monetaria, un organo di fatto, con la regola dell’unanimità. Keynes – si legge in varie parti del saggio – sarebbe arrivato a conclusioni analoghe. Quindi, occorrerebbe, sulla base dell’esperienza dell’ultimo quarto di secolo, rimettere mano al Trattato di Maastricht, prima che al Patto di Stabilità, per dare un organo deliberante, a maggioranza qualificata, all’unione monetaria e renderne possibile adattamenti.

C’è un altro punto del saggio che riguarda da presso il cantiere delle eventuali modifiche del Patto di Stabilità: il fardello del debito pubblico. “Sia secondo il modello di Keynes , basato sulla domanda globale, che secondo Einaudi , basato sul funzionamento del mercato, un Paese con un elevato debito pubblico – che ha realizzato il consolidamento del bilancio pubblico mediante l’aumento delle imposte e non mediante il taglio delle spese pubbliche – può cadere in una situazione di avvitamento in cui decresce il Pil e quindi occorre ancora aumentare i tributi o finalmente tagliare le spese“.

L’indicazione per il cantiere è chiara: sia Einaudi sia Keynes avrebbero pensato che eventuali revisioni del Patto di Stabilità non sarebbero dovute essere alibi per ritardare la definizione e la messa in atto di una politica di riduzione del debito pubblico tramite una serie revisione della spesa pubblica, mirata a restringerne il perimetro.

Si sono presi solo alcuni spunti dal lavoro di Forte, che merita di essere letto non solamente da coloro impegnati nel cantiere del Patto di Stabilità, o dagli economisti ma da coloro che un tempo venivano chiamate ‘persone colte’. E’, infatti, un ottimo strumento per comprendere due filosofie economiche che ancora oggi si confrontano.



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