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Lavoro, cosa dice Eurofound

In Italia, è caduto purtroppo nell’oblio  il sistema di comparazione tra i 28 paesi dell’unione sui temi del lavoro e discutiamo sempre e solo guardandoci il nostro ombelico quando sarebbe assolutamente utile e necessario cominciare a darsi delle regole comunitarie che accompagnino l’Europa in una profonda rivisitazione delle sue politiche economiche per-come ci raccomanda Draghi e non solo- rafforzarci sul piano politico e dunque diventare una vera comunità in grado di fronteggiare gli egoismi stranieri.

Così è bene consultare Eurofound, la Fondazione europea  che studia i cambiamenti per il lavoro e condizioni di vita, che ha recentemente rilasciato la sua sesta edizione  attraverso lo svolgimento di quasi 36.000 interviste con i e le dipendenti e autonomi, e su diverse aree di lavoro e vita privata. Lo sguardo in profondità del sondaggio fornisce anche preziose informazioni sullo status quo e sulle tendenze in materia di lavoro e di occupazione dei lavoratori più anziani. I risultati  contengono sia buone che cattive notizie dal punto di vista della diversità e riflettendo sui risultati del sondaggio, AGE Platform Europe per esempio afferma che “tra gli sviluppi positivi nella relazione figurano la maggioranza degli intervistati che esprimono soddisfazione per il loro tempo di lavoro (58%)”.

Ovviamente significa tuttavia che il 42% degli intervistati non sono soddisfatti con il loro orario di lavoro, che sembra essere eccessivo quando si parla di conseguenze per la motivazione, il benessere, la produttività, ecc. Dall’indagine risulta evidente che questo 42% esprime  diverse opinioni. Circa il 60% degli intervistati che lavorano 41-47 o 48+ ore alla settimana preferirebbe lavorare meno che attualmente. Allo stesso tempo, il 40% delle persone che lavorano 20 ore alla settimana o meno e ancora oltre il 25% di coloro che lavorano tra le 21 e le 34 ore, preferirebbe lavorare più di quanto fanno attualmente. I primi risultati non forniscono informazioni sul sesso su questa domanda, ma supponiamo in virtù di altri studi ed esperienze si tratti probabilmente per la maggior parte delle donne in part-time che desiderano lavorare di più di quello che attualmente fanno e uomini che lavorano più di quanto potessero francamente scegliere il loro ammontare effettivo di ore di lavoro.

Questa differenza di genere rimane una sfida importante per la politica del lavoro aziendale e dell’esercizio della contrattazione di prossimità ed è di particolare interesse in relazione all’equilibrio  tempo di lavoro-vita- non solo per le donne ma anche per gli uomini. E’ chiaro dunque che la flessibilità  di orario diventa sia dal punto di vista produttivo aziendale e personale una variante dipendente in grado di reagire alle esigenze diverse. Il rapporto si  sviluppa  anche su alcune differenze di genere:  mostra che mentre gli uomini riferiscono di preferire più pagato l’orario di lavoro,  le donne evidenziano la necessità  di riconoscere la cura delle responsabilità e il lavoro domestico non retribuito. Comunque sia le lavoratrici che i lavoratori  anche se in modo non uniforme, sono d’accordo con le donne di intraprendere una richiesta contrattuale per il riconoscimento di una quota maggiore del lavoro non retribuito. Di conseguenza, le lavoratrici così vedrebbero retribuita una maggiore quantità di tempo totale di lavoro rispetto agli uomini sommando il lavoro retribuito e non retribuito.

Questo provvedimento sanerebbe per i dipendenti che lavorano a tempo parziale  la differenza tra uomini e donne che attualmente rappresenta una penalizzazione per le donne che a causa del doppio impegno lavoro/famiglia chiedono il part time, cioè meno 18h/settimana (32h vs 50h). Per quanto riguarda i lavoratori più anziani, l’indagine rileva che essi  riportano un alto rischio di essere in posizioni stancanti (43%) e sono il gruppo che può  imparare  meno cose nuove sul posto di lavoro (33%) e non  usufruisce  di una parte di attività di formazione (38%, rispetto al 43% per 35-49 anni e il 41% per meno di 35 anni). Riferiscono anche scarse possibilità di avanzare nella loro carriera (71%). I lavoratori più anziani sono più colpiti dalla ristrutturazione o riorganizzazione.

Inoltre, il lavoro sta diventando sempre più concentrato, con più lavoro in tempi stretti ed è diventato più veloce. Questo può rappresentare una sfida particolare per i lavoratori più anziani. Il 17% delle donne e il 15% degli uomini dichiarano di essere stati esposti a comportamento sociale negativo, e il 7%, un numero sempre crescente, riferiscono di aver sperimentato la discriminazione. Visto che in Italia si sta procedendo su di un’ampia riforma del lavoro compreso il lavoro e la previdenza flessibile è utile cercare di tenere in grande considerazione questo studio e allinearsi con le evidenze comunitarie per trovare percorsi condivisi e affrontare così le sfide dello sviluppo.

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