ho voluto parafrasare il titolo con cui ilfoglio.it ha pubblicato le considerazioni di ettore gotti tedeschi sulla “amoris laetitia” perchè dinanzi all’osservazione di quest’ultimo per la quale “l’esortazione lascia indirettamente intendere che le leggi morali e i sacramenti debbano esser adattati alla realtà praticata secondo le culture vissute e non secondo ideali di riferimento cui eravamo abituati” mi sono risolto a condividere lo spunto di riflessione che ho maturato dopo aver letto l’esortazione papale.
non ho gli strumenti per esprimermi sulla esortazione, ma l’invito nell’applicare le regole al “discernimento” (che ritengo gotti tedeschi abbia alquanto frainteso) è, a mio avviso, destinato ad essere prezioso anche per chi è chiamato ad operare nel regno di questo mondo.
lo scandalo tempa rossa ha svelato la intrinseca fragilità del nostro sistema nel quale la legge tende a perdere i caratteri della generalità e dell’astrattezza per divenire veicolo di provvedimenti preordinati a regolare situazioni determinate. tale tendenza ha due ragioni di fondo. la prima, torbida, è nella esigenza di accogliere istanze lobbistiche, più o meno nobili e giustificabili. la seconda, esemplare, è nella necessità di ovviare alla difficoltà che la applicazione di una regola astratta può comportare nel caso concreto. ciò è dovuto al fatto che l’attuale legislatore è ispirato dalla cultura giacobina che performa il diritto sulla base di idealtipi. alla stessa si oppone quella cattolica per il quale è il sabato ad essere fatto per l’uomo e non il contrario. quest’ultima, soccombente nelle aule parlamentari, è ancora viva nella realtà fattuale, dove non si esita a cercare l’eccezione per venire incontro alle istanze della vita. nella saggezza popolare: fatta la legge, trovato l’inganno. lo scontro tra il diritto astratto e il diritto carnale è quotidiano e spesso foriero di abusi perchè chi è chiamato ad applicare la norma si arroga discrezionalità che quest’ultima non gli consente. dura lex, sed lex, dicevano i romani. ma per i romani la legge era un atto di imperio, che come tale ben richiedeva di essere eseguito rigorosamente.
ma se anche la legge ha come fine l’uomo, è evidente che il governo della legge non può arrivare ad asservire a sé l’uomo (soprattutto quando chi è portatore di interessi forti è in ogni caso in grado di farsi approvare una legge-provvedimento).
ora, il papa invita al “discernimento” nell’applicare la regola. il discernimento presuppone una legislazione per principi, che consenta a chi è chiamato ad applicare la legge di tener conto del caso concreto in conformità alla sua ratio.
il semaforo ha tre colori. oltre al verde (permesso) e al rosso (divieto), c’è il giallo. il giallo è metafora del principio di precauzione. mi domando allora – e così concludo queste noterelle – se un maggior ricorso alla legislazione per principi non possa rigenerare lo stato di diritto, arrestandone la dissoluzione nello ristabilire la ripartizione dei poteri: al parlamento il potere di fare leggi astratte e generali (il principio lo è per definizione), al governo quello di amministrare nel loro rispetto le situazioni concrete, alla magistratura il potere di giudicarne la operatività effettualr.