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L’intervista di Bruno Vespa a Riina jr.

L’intervista di Bruno Vespa al figlio di Totò Riina ha sollevato moltissime critiche e fortissime reazioni d’indignazione per niente giustificate.
L’intervista, infatti, ha un grande merito: aver raccontato, attraverso la surreale normalità delle risposte, l’altrettanto surreale quanto efferata normalità di quello spaccato di vita in cui Salvo Riina, i suoi fratelli e sua madre hanno vissuto per una vita intera. Una vita, la loro, quella tra le mura della propria casa, a stretto contatto con un uomo che ogni sera vi rientrava dopo essersi macchiato dei crimini più orribili.
Non c’è, purtroppo, nessuna contraddizione tra la prossimità dell’adolescente Salvo Riina con suo padre e la sua vita “normale”. Così come non c’è contraddizione nelle frequentazioni che Salvo Riina e i suoi fratelli hanno avuto con altri loro coetanei – figli evidentemente di famiglie normali assolutamente pulite e incensurate – . Siamo tutti pesci di uno stesso acquario bestiale. Questo è il fatto.
La replica di Emanuele Schifani, figlio di uno degli agenti della scorta del giudice Falcone – che esige il massimo dei riguardi -, finisce però nella retorica.
Non si può capire la mafia, e la peggiore delle sue manifestazioni che è appunto questa imparabile contiguità, se non si capisce l’intervista di Vespa.
Bisogna fare i conti col fatto che – a maggior ragione nei piccoli centri del sud – le persone perbene hanno continuamente a che fare con affiliati, con i figli di questi, e/o con persone che, se anche non sono parte dell’organizzazione, sono comunque da considerarsi contigue. E se non si capisce che questi contatti non fanno di quelle persone, persone peggiori non si è capito nulla.

L’intervista di Bruno Vespa fa riflettere. Perché se anche può apparire impossibile, ci sono tantissimi casi di figli di mafiosi che hanno cercato con tutte le loro forze di tenere lontano la propria vita da quella della famiglia. Dalla deriva criminosa, a volte violenta, del proprio genitore. Pensate che tragedia, che conflitto. Che male che da dentro divora indoli che la natura ha voluto diverse.

Evitando riferimenti a casi personali, e se ne potrebbero citare numerosi di personaggi di malacarne di secondo piano i cui figli hanno vissuto ciascuno il proprio calvario per affrancarsi, vale la pena rileggere la Camorrista di Francesco Palmieri, che spiega bene come può essere ancora più tragico il destino di un figlio di un malacarne che non vuole essere malacarne di quello di un figlio di una vittima di mafia. Tant’é.


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