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Perché le banche europee diventeranno più americane. Parola di Mediobanca

Banche più vicine al modello Usa e più vicine alle piccole imprese. Sarà quello che accadrà alla fine di questa ennesima stretta patrimoniale dell’Europa sul sistema degli istituti di credito. “In definitiva – scrive Andrea Filtri su un report di Mediobanca Securities – immaginiamo le banche europee convergere verso il modello statunitense: da grandi banche che attualmente sono tre volte in numero e asset cumulativi rispetto a quelle Usa a meno player, meno indebitati”. E più vicine all’economia reale. “Crediamo che la combinazione della proposta di trasferire l’esposizione al default delle grandi aziende verso modelli standardizzati e nuovi standard operativi di rischio con tassi più bassi per sempre, indurranno le banche a spostare i capitali verso i mutui e le PMI, anche se a margini inferiori, e lontano dal corporate & investment banking”. Ciò comporterebbe ulteriori deleveraging, deprimendo i profitti già sotto pressione per effetto della digitalizzazione. La combinazione di questo scenario con un regolatore desideroso di realizzare un mercato unico bancario avrebbe a sua volta l’effetto di dare luogo a uno tsunami di consolidamenti, secondo gli analisti di Mediobanca.

LA DISPERSIONE DELLE MISURE DI RISCHIO
Ma proviamo a capire meglio cosa sta accadendo: il regolatore ha riscontrato una forte disomogeneità nella ponderazione al rischio degli asset ra banca e banca, che ha minato la credibilità generale. Quindi è ora necessario limitare l’arbitrarietà delle azioni e recuperare fiducia. “Il consensus igiene – scrive Filtri – che l’armonizzazione non ci sarà mai . Non sappiamo se, quando, come e in quanto tempo i regolatori la implementeranno ma la consideriamo una questione troppo importante per non trattarla. Così abbiamo condotto una simulazione che la contempli secondo le ultime indicazioni disponibili”.

NUOVE RICAPITALIZZAZIONI PER 348 MILIARDI
La simulazione conduce a un risultato: il costo della ponderazione per il rischio secondo il nuovo regolamento aumenta del 42%, una quota capace di erodere il 4% di Cet1. “I due terzi di questo costo derivano dal rischio operativo e di questo il 60% è perdita interna – continua Filtri – Numeri che si riflettono nel 4% di erosione del Cet1 2015, che si porterebbe all’8,3%, 260 punti base sotto le richieste del regolatore”. In soldoni, se i conti di Mediobanca sono corretti, le banche si ritroverebbero un deficit di capitale di 348 miliardi di euro. Il peso maggiore di questo deficit cadrebbe su banche nordiche e britanniche e internazionali.

SCENARIO MORBIDO
Poiché però i regolatori sembrano d’accordo sul fatto che “non c’è in Basilea 4” alcuna indicazione che le richieste relative al pilastro due del patrimonio possano compensare la più pesante ponderazione per il rischio, Mediobanca ipotizza anche uno scenario dovish in cui la soglia di Cet sia fissata all’8%. “Questo limiterebbe la ricapitalizzazione a 148 miliardi con la diluizione di un punto percentuale del Rote stimato 2017 al 7,9% contro un prezzo 2016 pari a 0,8 volte il tangible equity. Il deficit risiederebbe essenzialmente in solo 9 banche (Deutsche Bank, Barclays, SocGen, Bnp, Lloyd’s, Credit Suiss, Hsbc, Ubs e Santander), che vedrebbero il Rote diluito del 2% e una carenza di capitale tra il 15 e il 58%”. Nessuna italiana tra le nove bastonate. Ma l’intero settore europeo è comunque declassato a neutral da outperform perché se i Paesi core soffrono per l’armonizzazione della ponderazione al rischio, la periferia subisce l’impatto dello scenario a tassi bassi per sempre che erode il margine da interesse netto. Segnatamente Unicredit, Intesa, Ubi, Banco e Caixa, finiscono nel mirino di Mediobanca.

SUPPORTO ALLE PMI
C’è un aspetto potenzialmente positivo in tutta questa storia ed è la trasformazione che le banche europee stanno subendo secondo Mediobanca. “I paper in discussione presso il Comitato di Basilea riguardano – si legge nel report – gli standard che definiscono i nuovi rischi operativi, il passaggio a una metodologia standard per abbassare l’esposizione al default, l’introduzione di limiti di erogazione di mutui privati e prestiti alle imprese: di questi vediamo il terzo di scarso impatto mentre i primi due le pietre miliardi del prossimo approccio normativo”. Di più. “Le autorità politiche non hanno fatto segreto della loro intenzione di spingere il capitale bancario verso i prestiti a retail e pmi, che sono considerati i depositari del più complesso accesso al credito. Crediamo che i cambiamenti regolamentari proposti renderanno i prestiti alle big cap economicamente improponibili per le banche europee. Piuttosto che dedicarsi a un’attività a elevata leva e basso margine, queste preferiranno emettere bond per le grandi imprese e incassare le commissioni”. Le grandi imprese dal canto loro saranno portare a emettere bond vendibili direttamente sul mercato e il capitale bancario che si libererà finirà “in rischiosi prestiti alle piccole e medie imprese, mitigati in più tranquilli mutui fondiari per consumatori retail. Il risultato finale sarà quello di avere banche più piccole e con bilanci più solidi e capitalizzati”.


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