Blazer avvitato, jeans con risvoltino e calze rosa, Michael Roth – l’uomo che segue l’Europa per il governo Merkel – è un mattatore che va su e giù per il palco dell’opificio Romeuropa, parla con gli italiani, invoca domande anche scomode da parte della platea e non rinuncia a qualche battuta: “Il dibattito fra i nostri due Paesi è dominato dagli stereotipi. E io quel che voi pensate dei tedeschi lo conosco: credete che noi vogliamo dominare l’Europa… Ma noi siamo aperti al dialogo! Sono qui per parlare con voi, non certo per fare un monologo”.
Il ministro di Stato per gli Affari europei, socialdemocratico nell’esecutivo di Grosse Koalition, è giunto da Berlino a Roma per parlare con i giovani esponenti della società civile italiana ma anche – ben celati nel parterre – con passati e attuali inquilini delle stanze del governo, dall’ex ministro montiano Corrado Clini al consigliere di Matteo Renzi sui temi Ue, Marco Piantini.
L’occasione è il terzo appuntamento, dopo quelli di Atene e Lisbona, della serie degli European Town Hall Meeting, il progetto di dialoghi sull’Europa voluto dal think tank berlinese Das Progressive Zentrum “per riconciliare, in questi tempi difficili, la cooperazione nel Vecchio continente, contrastando il risentimento e ricostruendo una visione comune delle sfide odierne dell’Ue”, a partire dalle voci di italiani, greci, portoghesi, francesi, spagnoli e tedeschi.
A due passi dal Gazometro e nella post-industriale Ostiense, l’incontro è organizzato insieme all’Istituto Affari Internazionali (IAI) e alla Fondazione EYU: si parla delle crisi e delle sfide che travagliano l’Ue; e su tutte, di migrazioni e integrazione, sviluppo sostenibile, coesione sociale e populismo euroscettico. Il format è senza intermediazione: gli italiani domandano, il ministro Roth risponde.
E allora, via con le rivendicazioni del ruolo indispensabile dei socialdemocratici tedeschi della SPD nel reclamare un ambizioso programma d’investimenti per l’Ue. Pretese in condominio con Renzi, che attribuì alla sua azione di premier rinvigorito dal voto europeo il lancio del piano Juncker.
Ma più che sui finanziamenti pubblici alla crescita, secondo Roth l’Ue deve simbolicamente investire in comunicazione: “Dobbiamo mettere in chiaro che l’Unione europea è in grado e disposta a risolvere i problemi quotidiani della gente ordinaria. Bisogna parlare di Europa in chiave positiva, ma senza essere ingenui, insomma. L’Europa non è solo Bruxelles, non è fatta solo di burocrazia che è vista come il male e va combattuta. Quella è la solita storia raccontata dai politici nazionali; ma tutti sappiamo che i governi degli Stati membri hanno un ruolo chiave nella formazione delle politiche europee”.
Sull’intesa Ue-Turchia sfornata dal Consiglio europeo di metà marzo, Michael Roth è chiaro: “Non è un buon accordo ma è sicuramente meglio dello status quo. Purtroppo non c’era migliore soluzione perseguibile. Siamo contrari alle misure nazionali e alla chiusura delle frontiere. L’Europa deve parlare una voce unica: è nel nostro comune interesse ridurre il numero di rifugiati, perché nessun altro partner, Germania e piccole eccezioni a parte, è in grado di accogliere altri migranti”, i quali tuttavia, se integrati nelle nostre società “sono una risorsa. Quando nel mio collegio elettorale incontro dei rifugiati mi fermo sempre a chiedere loro quali sono le loro storie, le loro esperienze, le loro aspettative in Germania”. E il ministro della Merkel dice di avere l’orticaria quando sente quei governanti europei dire di “non accettare i musulmani perché siamo cristiani. Una tale impostazione va contro l’idea di una società europea: la diversità di culture e religioni arricchisce le società; certo, allo stesso tempo dobbiamo aver ben chiaro quali sono i nostri valori, i valori europei. Dobbiamo imparare a vivere assieme, e bisogna che si cominci presto, nelle scuole. E che se siamo in Italia si parli italiano, se in Germania tedesco”. Lo dice agli italiani, ma perché i tedeschi (gli stessi che hanno di recente tributato un corposo seguito alla retorica populista e anti-immigranti dell’Alternative für Deutschland) intendano.
I brividi no-triv in vista del referendum italiano del 17 aprile attraverso anche la sala di via dei Magazzini generali, con l’eco del quesito anti-nucleare di cinque anni fa: “Se il no all’energia atomica da parte della Germania è irreversibile? Beh, certamente dipenderà da vari elementi, fra cui i risultati elettorali… Ma sono convinto che la maggioranza dei miei connazionali sia contraria al nucleare: le energie rinnovabili ci rendono più indipendenti dalla Russia e dai Paesi del Medio Oriente. Adesso, ad alcuni mesi dalla COP21 di Parigi, tocca semmai a Roma e Berlino – le realtà più industrializzate d’Europa – fare il possibile perché l’accordo internazionale sul clima venga attuato”.
Sul salario minimo – una delle recenti misure di Berlino che più incuriosiscono gli italiani -, Michael Roth riporta fedelmente le intenzioni dell’alleato di centrosinistra della cancelliera: “Oggi è pari a otto euro e mezzo all’ora, ma negozieremo con i cristianodemocratici un aumento. Il general minimum wage, valido per ogni tipo di lavoro, che già funzionava in ventidue Stati dell’Ue e che noi abbiamo introdotto in Germania più o meno un anno fa, è un ottimo contributo alla regolazione del mercato del lavoro”.
Ma gestione dell’immigrazione, ambiente, lavoro sono tutte politiche pubbliche che costano. E allora, ecco che in chiusura Roth lascia la ciliegina che meglio descrive le grandi incomprensioni italo-tedesche al tavolo europeo: la risposta è l’austerità o la flessibilità? “In realtà – dice, sornione – in Germania nessun tedesco si preoccupa dei tagli alla spesa pubblica. Noi non la riduciamo né siamo a favore dell’austerity”.
La esportate soltanto!, mormora – soffocandolo in un amaro sorriso – qualcuno dal pubblico. “E no, neppure in Europa esiste davvero: le nostre priorità sono investimenti per creare di posti di lavoro, la coesione sociale, il contrasto alla disoccupazione giovanile, la costruzione dell’unione dell’energia, una politica di asilo sostenibile. E la generazione Erasmus: abbiamo assolutamente bisogno di aumentare e migliorare gli scambi, specialmente dei giovani. Non soltanto studenti, ma anche lavoratori”.