La globalizzazione ha fatto emergere sfide nuove per la nostra sicurezza e per il nostro sistema di difesa. Oggi, accanto all’interdipendenza economico-finanziaria, si sta aggiungendo anche quella culturale, con un progressivo livellamento dei gradi di sviluppo. Bisogna prendere atto che l’occidente è solo una parte di un mondo oggi molto più grande.
In questo scenario, l’Unione europea sta cercando di definire uno schema di difesa comune. A febbraio è stato presentato il rapporto del gruppo delle personalità presieduto dal commissario europeo Bienkowska, rapporto a cui ho avuto il piacere e l’onore di contribuire. Vi si disegnano i contorni di un progetto di ricerca europeo nel settore della difesa, una vera e propria svolta epocale, il primo passo per poter capire quale sarà la collocazione dell’Europa e di ogni suo Stato membro nel mondo di domani. A giugno, verrà presentata la Strategia globale dell’Unione per la politica estera e della sicurezza. A luglio ci sarà il summit Nato, mentre in autunno la Commissione europea presenterà il piano d’azione per la difesa. L’Italia sembra prepararsi bene, ma ora occorre che alle parole seguano i fatti. Il Libro bianco della difesa disegna un sistema chiaro che distingue in maniera precisa le competenze che l’Italia vuole mantenere sovrane e le capabilities che può mettere a disposizione. Si chiariscono anche le tecnologie necessarie per poter mantenere una superiorità tecnologica e garantire autonomia nella difesa e nella sicurezza. Allo stesso modo, ogni Stato membro dell’Ue ha la classificazione tra ciò che è sovrano, ciò che può essere soggetto a collaborazione e ciò che occorre ricercare.
Ora dobbiamo costruire lo stesso schema a livello unico europeo, fare un censimento delle parti che possono essere messe a disposizione l’uno dell’altro e che rappresentano la prima base comune sulla quale fondare una collaborazione europea in ricerca e sviluppo. Allo stesso modo credo che come Europa, e non più come singoli Stati, dovremmo trasferire il medesimo schema in ambito Nato.
Se ci riusciamo, avremo più forza per poter ottenere a livello europeo e nazionale uno schema chiaro di competenze e di obiettivi. Per poter fare tutto questo occorrono ovviamente risorse. Queste, a ora, non sono sufficienti, né se confrontate con la nostra storia né con quella degli altri Paesi di dimensioni e importanza analoghe all’Italia. Le poche risorse a disposizione quindi dovranno essere orientate a pochi progetti, quelli fondamentali, per evitare che vengano disperse in tante piccole e medie “intraprese” non in grado di produrre un risultato sufficiente. Dovranno essere poi privilegiati quei settori che, come industria europea, vogliamo sviluppare al fine di mantenere una superiorità tecnologica, che sono: lo spazio, in tutti i suoi elementi, comunicazione, navigazione e osservazione; i settori di intelligence e cyber, per cui è necessario costruire standard e requisiti comuni evitando polverizzazioni pericolose; e veicoli unmanned, aerei, navali e terrestri. Tra questi settori c’è ovviamente triangolazione e interdipendenza.
Tutto questo sarà necessario perché si definiscano requisiti base e strandardizzazioni comuni su cui costruire uno sviluppo condiviso, che ci consenta di primeggiare come abbiamo sempre fatto nella nostra storia europea. La Preparatory action, in tale contesto, rappresenta un passo fondamentale. Se l’industria è chiamata a fare investimenti significativi di lunga durata, deve avere una voce e una presenza all’interno della governance, così da garantire certezza nel lungo periodo e dialogo costante tra il mondo politico e quello industriale.