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Ecco come la pressione fiscale non è diminuita abbastanza

Ecco un utile promemoria per il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che da due anni non perde occasione per ribadire il suo mantra preferito: “Il taglio delle tasse è il pilastro dell’azione del governo”. La Banca d’Italia, aprendo il ciclo di audizioni in Parlamento sul Def 2016 (Documento di economia e finanza), ha messo nel mirino proprio il capitolo tasse, sottolineando che sono ancora troppo alte.

Federico Signorini, vicedirettore generale della Banca d’Italia, ha precisato che tra il 2014 e il 2015 vi è stata certamente una leggera diminuzione della pressione fiscale (dal 43,2 al 42,9% del pil), che però “è rimasta superiore, per circa 2,5 punti percentuali, alla media del decennio che ha preceduto la crisi dei debiti sovrani”. Per questo, ha aggiunto, “andrà considerata con attenzione l’opportunità di prevedere riduzioni permanenti del cuneo fiscale, a beneficio della crescita e dell’occupazione”. In pratica, un invito a Padoan e al governo di Matteo Renzi a cambiare il Def 2016.

L’invito della Banca d’Italia non è rimasto isolato. Pagare più tasse quando l’economia ristagna, non aiuta, anzi aggrava la crisi. E questo, secondo i calcoli del centro studi degli artigiani di Mestre, è purtroppo ciò che è accaduto in Italia, dove negli ultimi sei anni, tra tasse nazionali e locali, le famiglie hanno dovuto subire un aggravio fiscale di ben 29,3 miliardi. Il conteggio è il seguente: tra il 2010 e il 2015, le imposte nazionali, al netto del bonus Renzi di 80 euro, sono aumentate di 21,6 miliardi (+ 6,1%); quelle locali (Imu, Irap, addizionali comunali e regionali Irperf) sono salite di 7,7 miliardi (+ 8%).

L’abolizione dell’Imu sulla prima casa, decisa da Renzi, farà sentire i suoi effetti statistici tra un anno. Resta tuttavia il fatto che le imposte locali si sono già mangiate, con i loro aumenti, i benefici del bonus di 80 euro e dell’abolizione dell’Imu.

Ecco, in proposito, i calcoli degli artigiani di Mestre. Tra le principali tasse locali, solo l’Irap ha registrato una contrazione netta di 4,2 miliardi (meno 13%). Tutte le altre sono aumentate. Tra il 2010 e il 2015, l’addizionale Irpef regionale è salita di 3,1 miliardi (+39%), con un gettito per le casse dei governatori passato da 8,1 miliardi a 11,3 miliardi.

L’addizionale comunale Irpef ha portato nelle casse dei sindaci 4,2 miliardi nel 2015, con un aumento del 51% rispetto al 2010 (più 1,4 miliardi).

Ma la tassazione che nei cinque anni ha subito l’incremento più vistoso è stata quella sugli immobili (Ici, Imu, Tasi), salita da 9,6 a 21,3 miliardi di gettito, vale a dire 11,6 miliardi in più, con un balzo del 120%. Nel complesso, sostiene Paolo Zabeo, coordinatore degli artigiani di Mestre, “tra il 2010 e il 2015, la tassazione locale è salita del 46%. La difficoltà nel far quadrare i conti ha costretto i governi a ridurre progressivamente i trasferimenti alle autonomie locali, creando non pochi problemi a queste ultime, che si sono difese alzando le imposte locali, in primo luogo proprio quelle introdotte nel frattempo dal legislatore”.

Per evitare che questo gioco fiscale si ripeta (sostituire i minori trasferimenti dal centro con maggiori tasse locali), la legge di Stabilità 2016 ha imposto il blocco di qualsiasi aumento delle tasse locali, ad eccezione della Tari (rifiuti).

Tuttavia, mette in guardia il centro studi degli artigiani, le regioni in disavanzo sanitario, obbligate a un piano di rientro imposto dal ministero dell’Economia, sono autorizzate a mettere mano all’aliquota Irap e all’addizionale regionale Irpef. Un’ipotesi che ha molte probabilità di avverarsi, con un danno maggiore per le famiglie più deboli, visto che le regioni in deficit da sanità sono concentrate al Sud, dove i redditi sono per lo più inferiori alla media nazionale.

Anche a seguito di rilievi di questo tenore, Renzi avrebbe deciso di modificare l’agenda dei tagli fiscali che aveva annunciato in passato, dove si prevedeva il taglio Ires per il 2017 e quello dell’Irpef nel 2018.

Ora, ha spiegato, è più urgente ridurre l’Irpef, per lasciare più soldi in tasca alle famiglie e rilanciare i consumi. Da qui l’idea di inserire nella prossima legge di stabilità un posticipo del taglio Ires, per lasciare spazio a un primo taglio dell’Irpef sui redditi medio-bassi, da attuare probabilmente con un’estensione del bonus da 80 euro alle pensioni basse, più una riduzione di 4-6 punti dei contributi previdenziali (da dividere a metà tra imprese e dipendenti) per abbassare anche il costo del lavoro e lasciare più soldi in busta paga.

Il tutto dovrebbe essere accompagnato da un pacchetto denominato “fiscalità di vantaggio”, vale a dire agevolazioni fiscali per le famiglie più numerose, con due o tre figli, con un riordino delle detrazioni attuali e degli assegni familiari, sostituiti con sconti fiscali più robusti in busta paga e servizi mirati per la genitorialità.

Insomma, più figli, meno tasse. Visto il trend demografico e l’invecchiamento generale, un’idea valida, da incoraggiare. Sperando che il taglio delle tasse non si limiti solo a questo.

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

 


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