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Quale futuro per Milano? Parla Albertini

Le elezioni amministrative di Milano sono ormai imminenti e i due candidati del centrodestra e del centrosinistra sono di fatto interscambiabili, con esperienze molto simili alle spalle. Cosa contraddistingue Stefano Parisi da Giuseppe Sala?

Naturalmente parlo per conoscenza di Parisi e per non conoscenza di Sala. Posso certamente dire che, sia da un punto di vista personale che lavorativo, a contraddistinguere Parisi sono l’etica, la lealtà istituzionale, la capacità e serietà professionale, dato che non solo conosco la sua storia e la sua famiglia ma ho anche vissuto con lui un rapporto di collaborazione straordinario. Infatti, con convinzione e determinazione mi sono ritrovato nella sua squadra, nonostante qualche ammaccatura di precedenti esperienze regionali.

Il mio incontro con Sala è invece avvenuto quando è stato ambasciatore di un’offerta di Letizia Moratti che mi aveva proposto la presidenza della metropolitana milanese. Offerta che io rifiutai per una serie di ragioni, non ultima l’essere l’allora Presidente della Commissione Affari Esteri del Parlamento Europeo, carica difficile da conciliare con una presidenza di engineering e trasporti essendo due ruoli assolutamente distanti.

Questo per inquadrare la circostanza che mi permise di avere una conoscenza diretta di Sala, occasione che mi fece rendere conto della sua persona, a partire dalla sua estrazione professionale, prima Pirelli e poi Telecom. Da subito potei constatare un rapporto incrociato tra noi due, in quanto aveva avuto come riferimento senior del suo organigramma, Beppe Bencini, persona tonica e capace che era stato uno dei miei presidenti; da amministratore delegato aveva risanato l’azienda municipale di servizi ambientali, l’AMSA, prima di spostarlo alla gestione di SEA Aeroporti Milano.

L’essere stato un allievo di Bencini ci aveva messo nella condizione favorevole di comprensione l’uno dell’altro, con un’impressione da parte mia assolutamente buona, mantenuta per tutto il transito del suo mandato da Direttore Generale.

In quanto a Sala ricordato come uomo-Expo, devo fare un’osservazione che ci vede invece su fronti contrapposti. Lo stesso Cantone ha confermato la presenza della corruzione in Expo e assolutamente non discuto la personale estraneità e incorruttibilità di Sala. L’estraneità però deve esserci anche in vigilando, in quanto esiste la culpa in vigilando; tuttavia, mentre in altre circostanze avrebbe pagato per colpe rilevanti commesse da parte dei suoi subalterni, in questo caso Sala è stato salvato da una situazione particolare nella quale doveva essere preservato l’evento.

Nondimeno, tecnicamente devo dire che desta perplessità il fatto che non conoscesse e, di conseguenza, non avesse sottoscritto i patti di integrità, innovazione in tema di anticorruzione da noi introdotta nel Comune di Milano grazie alla collaborazione con la Procura di Milano.

Cosa sono i patti di integrità? Sono una escamotage che risolve il problema relativo al diritto amministrativo, che nel suo formalismo giuridico invece di tutelare il pubblico tutela spesso il privato, anche un privato inadempiente e dissenziente dai fini istituzionali, che ha quindi il diritto di ripresentarsi nonostante abbia commesso irregolarità. Con questi patti invece, sottoscritti in forma civilistica e dunque con valore di legge, si redige un contratto tra le parti – il potenziale appaltatore e l’appaltante – in cui viene garantita reciproca integrità, con l’appaltatore a garantire lealtà negli adempimenti, assenza di intrecci azionari o proprietà con altre aziende partecipanti all’appalto (sistema usato per eludere la concorrenza e spartirsi il cartello senza competere l’uno con l’altro). Qualora fossero state accertate inadempienze, la pena autocomminatasi (per autoregolazione del contratto civilistico) vieta di partecipare ad altri appalti, oltre a non poter nemmeno ricorrere in sede amministrativa per accertare le irregolarità. Questo consente di fare una consistente scrematura degli appaltatori nel corso degli anni.

Il secondo fattore che mi aveva creato disorientamento è che invece in Expo non vi era un solo internal auditing, con magari diversi sotto-settori riferibili ad un’unica autorità centrale, essendocene addirittura sedici. Ciò ha reso estremamente complessa la gestione ed il controllo delle responsabilità. Quindi, se devo dare un giudizio sul lavoro svolto da Sala negli ultimi due anni di un impiccio combinato prima, ha portato sicuramente la nave in porto ma non è stato di certo un rivoluzionario.

Milano è considerata un’avanguardia del tessuto politico italiano: a suo parere l’avere due candidati di estrazione manageriale è rappresentativo del futuro prossimo della nostra politica, a carattere sempre più tecnocratico?

Già nel passato a Milano c’è stato un discostamento dalla politica prettamente burocratica, nel mio caso si era alla ricerca di figure imprenditoriali. La configurazione del ruolo organizzatore del sindaco di una grande città, che sia imprenditore o manager, non è fuorviante, in quanto sebbene il sindaco abbia un ruolo istituzionale dal peso politico rilevante, c’è però una grandissima parte rappresentata dalla grande impresa dei servizi che di fatto compongono il Comune stesso, comprensivo di imprese partecipate. Praticamente una holding che richiede un ruolo trasversale  riguardate tutte le appartenenze, non solo quella amministrativa.

Quello che vediamo ora a Milano (Porta Nuova, Skyline, il Portello) è un’attrattiva decisa da una regia pubblica precedente, trenta miliardi di investimenti del mondo che sono stati catturati grazie ad una visione imprenditoriale e legalitaria che prevedeva l’arrivo di questi capitali; un marketing urbano e una rigenerazione urbanistica che hanno permesso di convogliare sul nostro territorio i più grandi architetti mondiali. Una funzione questa che forse, più che riguardare l’anti-politica, è di pertinenza della politica vera, non quella di appartenenza del posto che occupo o del mantenimento del ruolo, ma di bene collettivo.

A Milano inoltre c’è un connotato imprenditoriale e manageriale di influenza politica ancora più forte rispetto altrove, essendo una comunità fatta da persone molto concrete, che guardano alle cose più che ai proclami e alle immagini. Guardano alla praticità, la applicano nella loro vita e la vogliono nella loro amministrazione: risultato e non procedura, obiettivo raggiunto per il cittadino e non per il burocrate che ha adempiuto al suo lavoro.

Da dove riparte Milano?

Milano è attualmente in una proiezione futura con grandi progetti in fase di attuazione ed espansione rispetto al resto d’Italia, molti iniziati e sviluppati nei nostri 9 anni di governo proprio con Stefano Parisi direttore generale.

 

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