In merito alle voci circolate durante i dibattiti parlamentari sulla ventilata ipotesi di “razionalizzare” le pensioni di reversibilità e quelle indirette, riteniamo doveroso e giusto ricordare e ribadire i seguenti aspetti, indiscutibili.
A tutti costoro che parlano senza conoscere in modo approfondito i problemi delle pensioni e della gestione Inps, ricordiamo: il lavoratore pubblico italiano paga contributi pensionistici pari al 33% della retribuzione, più un “tributo” per ottenere la reversibilità della pensione. Il pensionato italiano, unico al mondo, paga ingenti tasse sulla propria pensione, motivo per cui in molti, per sopravvivere, hanno preso la residenza all’estero. La loro pensione, alleggerita dal carico fiscale italiano, subisce una rivalutazione che va dal 30 al 50 per cento. La “tassazione” è anomala anche perché l’accantonamento ai fini previdenziali è, in effetti, un “risparmio” su somme già assoggettate a Irpef. Un risparmio, cioè, che viene tassato con aliquota sino al 45 per cento. Per gli amanti della statistica, il pensionato italiano subisce prelievi fiscali che sono tre volte superiori a quelli di un pensionato inglese, quattro volte a quelli di un francese e almeno cinque volte del pensionato tedesco. Il pensionato italiano è l’unico a cui non vengono conteggiati i contributi oltre i 40 anni di versamento: l’eccedenza è destinata alla “solidarietà”. Nonostante le chiacchiere, però, nessun parlamentare italiano ha ancora chiesto di eliminare le sue di pensioni plurime.
I parlamentari fingono di non conoscere la differenza tra i privilegi acquisiti e diritti acquisiti e poiché tra costoro vi sono moltissimi che ricevono o riceveranno il vitalizio secondo il vecchio sistema, valido solo sino al 2012, rammentiamo che questo vitalizio è un privilegio acquisito, suscettibile di profonde modifiche. Nel migliore dei casi, infatti, versando 60.000 euro in 5 anni, un parlamentare riceve, complessivamente, un vitalizio esentasse di circa 3.250 euro mensili, equivalente alla pensione netta di un dirigente dello Stato, che abbia lavorato per 45 anni. Nel peggiore dei casi, invece, il versamento del nostro parlamentare, ai fini del vitalizio, può essere stato effettuato anche solo per qualche mese, con trattenute di sole poche migliaia di euro. Questi vitalizi, che proseguono ancora oggi, sono dei veri e propri privilegi – non diritti – e come tali, ripetiamo, passibili di revisione.
Piuttosto che legiferare rapidamente per cassare questi vitalizi, nient’altro che privilegi ingiustificati, i nostri beneamati parlamentari parlano a vanvera. Propongono di tagliare le pensioni Imps over 2.500 euro lorde (ossia pensioni legate a contributi versati per decenni), come se fosse stato un privilegio aver versato, per decenni, un contributo obbligatorio del 33 per cento sullo stipendio. Contributo pagato mensilmente, perché tolto dalla busta paga senza nessuna remora.
I pensionati pubblici si sentono sotto assedio. Matteo Renzi che si è fatto beffe della sentenza n°70/15 della Consulta, prorogando i tagli – il cosiddetto “contributo di solidarietà”, si ma solidale nei confronti di chi? – fino al 2018 e riducendo in maniera significativa la rivalutazione Istat, peggiorando i tagli già effettuati da Monti e di Letta.
Pensionati deboli perché divisi? Se Renzi lo pensa, allora sta commettendo l’ennesimo errore di valutazione. Sbruffone fino in fondo, si gioca la testa ad ottobre e, tra i tanti nemici, avrò anche una larghissima fetta dei pensionati over 2.500 euro lordi al mese. Anzi, che il boy-scout si ricordi di quello che scriviamo. Avrà contro centinaia di migliaia di vedove, giustamente protese a tutelare la loro pensione di reversibilità.
Si accettano scommesse. Noi, nel nostro piccolo, daremo loro una mano, come sempre.