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Perché serve un nuovo modello contrattuale

Organizzazioni sindacali e associazioni di imprese devono lavorare insieme e ragionare su un percorso comune per un nuovo modello contrattuale basato su un forte decentramento. La recente riforma dell’intero “sistema lavoro Italia”, cioè il Jobs Act, impone alle parti sociali un cambio di direzione rispetto a quanto fatto finora. Il sistema italiano passa, infatti, da una ipertutela supportata da un robusto sistema di politiche passive del lavoro e ammortizzatori sociali oltre che da un obbligo di reintegra per i licenziamenti illegittimi a un mercato più dinamico che guarda alle politiche attive e alla formazione continua come gli strumenti per consentire transizioni di un lavoratore da un’azienda a un’altra. Non più la tutela del posto di lavoro, ma la tutela del lavoro, intesa come tutela dell’intero percorso lavorativo del cittadino.

È centrale, quindi, un cambio di passo delle parti sociali. Mai come in questo momento, in cui balenano spiragli di superamento della crisi, le regole del lavoro vadano definite, per quanto possibile e salvo la tenuta delle condizioni minime di dignità ed equità, proprio sul posto di lavoro, ove si produce. Maggior spazio dunque va data alla contrattazione decentrata, aziendale o territoriale, che deve passare da un ruolo di supplenza integrativa a uno centrale. In questa sede, contrattazione decentrata, infatti temi come la produttività, con le confermate agevolazioni contributive e fiscali oltre che i supporti non retributivi ai lavoratori, welfare aziendale o di comparto, possono assumere reali significati. Una contrattazione capace di interpretare un sistema di equità retributiva che tenga conto dei diversi contesti territoriali.

Serve una contrattazione capace poi di definire tutte quelle regole e limitazioni contrattuali, che i decreti delegati del Jobs Act hanno esplicitamente rimandato alle parti sociali, adattandoli alle esigenze della produzione e del territorio. È necessario un cambio di passo che tenda a fornire una valutazione vera della rappresentatività delle organizzazioni sociali nei territori, che premi e dia preminenza a chi sa dialogare con imprese e lavoratori e che pertanto si guadagni sul campo l’onore e l’onere di rappresentare gli stessi anche liberandosi da storici e presupposti elementi di preminenza. Un cambio di passo in cui Unimpresa e i suoi 123.000 associati vogliono essere protagonisti, con un obiettivo preciso: più periferia meno centro, più contratto meno legge, più produttività e risultati che retribuzioni fisse e uguali in territori diversi.

Paolo Longobardi
Presidente di Unimpresa

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