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Cosa penso dello status di economia di mercato alla Cina

Riceviamo e pubblichiamo

In Europa la discussione sulla concessione alla Cina dello status di economia di mercato (MES) non sta avendo molto successo. La semantica è spesso causa di incomprensioni, anche in questo dibattito. Il fatto se la Cina sia diventata o meno un’economia di mercato, come tutti sanno, è una questione irrilevante, in quanto lo status di economia di mercato e la conformità con l’accordo dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) sono due cose del tutto diverse.

Il dibattito in corso è sulla interpretazione del paragrafo 15 del protocollo di adesione della Cina al WTO. Questo paragrafo si riferisce agli aspetti tecnici delle inchieste antidumping. Per “dumping” si intende una pratica commerciale mirata alla vendita sotto costo di prodotti o servizi in Paesi terzi, oppure a prezzi inferiori a quelli del mercato del paese terzo. Quando la Cina ha aderito al WTO nel 2001, ha accettato un periodo transitorio di 15 anni, durante il quale gli altri membri del WTO sono stati autorizzati ad utilizzare la “non-market economy methodology” nell’ambito delle indagini sulle pratiche antidumping. In base a tale metodologia, i funzionari europei hanno il diritto di stimare per analogia il costo di produzione nazionale ed i prezzi dei prodotti di esportazione, invece di basare la loro indagine sui prezzi del mercato interno. Il governo cinese sostiene che, a partire dall’11 dicembre 2016, la data in cui il periodo transitorio terminerà, i funzionari europei non avranno più il diritto di applicare la “non -market economy methodology”. Al contrario, alcuni avvocati sostengono che fino a quando gli altri membri del WTO non avranno concesso lo status di economia di mercato alla Cina nella loro legislazione nazionale, le loro investigazioni anti-dumping, potranno continuare ad utilizzare la “non-market economy methodology”. Ecco, in poche parole, il cuore del dibattito sullo status di economia di mercato alla Cina.

L’interpretazione dell’accordo WTO potrebbe essere testato in una procedura di risoluzione delle controversie. Ma è consigliabile? Non dimentichiamo la dimensione politica e simbolica dl dibattito. Secondo la Missione della Cina presso l’UE già 88 paesi, tra cui la Nuova Zelanda, Australia, Perù, Cile ed i paesi membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico, hanno già riconosciuto alla Cina lo status di economia di mercato. La loro scelta è stata principalmente dettata da ragioni politiche, compresa la conclusione di accordi di libero scambio (FTAs). Negare lo status di economia di mercato alla Cina sarebbe un segnale politico piuttosto forte da parte dell’UE e potrebbe causare il deterioramento delle relazioni politiche tra le due economie. Nel breve periodo, ci sono rischi concreti di ritorsioni da parte cinese, che potrebbero causare all’economia dell’UE gravi danni e incertezza su quello che poi sarà il risultato finale.

Inoltre potrebbe essere minacciato l’esito positivo dei negoziati in corso per il trattato bilaterale di investimento e la potenzialità di concludere un accordo di libero scambio tra la Cina e l’Unione Europea – che secondo le stime della Commissione varrebbe circa 250 miliardi di euro. La Cina è anche il primo, ed unico paese non UE che finora si è generosamente impegnato ad investire nel piano Juncker. Chiudere la porta alla Cina può aver effetti molto negativi.

Come dice il detto, il modo migliore per vincere una controversia è quello di evitarla. Una decisione saggia dovrebbe essere quella di adottare un approccio politico lungimirante, per cui la concessione dello status di economia di mercato potrebbe essere utilizzata dalle istituzioni europee per rafforzare il dialogo bilaterale con le autorità cinesi a sostegno degli sforzi delle istituzioni per facilitare le attività svolte dalle imprese europee in Cina.

Uno dei principali temi nel dibattito sulla concessione dello status di economia di mercato alla Cina è la paura di perdita di posti di lavoro da parte delle industrie manifatturiere meno competitive in Europa. E’ arrivato il momento per l’Europa di riflettere sul perchè la sua capacità di competere con altre economie sta peggiorando in molti settori. Senza dubbio uno dei principali motivi si basa sull’eccessiva regolamentazione europea che ostacola la complessiva capacità industriale di innovare ed investire.

L’UE potrebbe affrontare i negoziati in un posizione più forte quando si tratta di difendere la sua industria ed i posti di lavoro dei cittadini europei: ci sarebbe probabilmente un minor numero di controversie sulle pratiche di dumping se i governi europei procedessero con le necessarie riforme strutturali e se gli operatori del mercato potessero beneficiare di migliori condizioni di competitività.

In conclusione, è necessario un maggior dialogo con la Cina. Dobbiamo trovare soluzioni concilianti piuttosto che iniziare una nuova “guerra commerciale”. Oggi la parola chiave è  cooperazione. La storia ha dimostrato che il dialogo e la cooperazione, non il conflitto, sono in grado di superare le incomprensioni e ridurre le distanze. L’Europa non deve avere paura della Cina. La paura è una cattiva consigliera. Cerchiamo di non permettere che sia la paura a guidarci. Al contrario, la Cina e l’Europa dovrebbero collaborare più strettamente in futuro e sul futuro. La cooperazione con la Cina nel digitale, 5G ed Industry 4.0, o la quarta rivoluzione industriale, sarà cruciale se vogliamo mantenere un’industria europea competitiva, forte e solida.

Luigi Gambardella, presidente ChinaEU



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