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Cavalier Aldullo e Re Giorgio sulla Costituzione

Se ne stava dentro al salone delle feste sul destriero della sua impavida sicumera l’Aldullo, Lancillotto dell’inchiesta e dell’editoria, Cavalier di Val di Cerchiobotte nonché Duca della Granda. Eccolo, forte della più sferica delle orografie craniche che, nascosta sotto un elegantissimo elmo, luccicava più della sua stessa armatura.
A cavallo del suo ronzino, Aldullo brandiva come una lancia la pergamena in cui aveva appena terminato di vergare l’intervista al più vegliardo dei Re: Re Giorgio, il più nero tra i neri, il più rosso dei rossi che seppe farsi beffa dei cugini magiari. Amante delle toghe e al tempo stesso cordiale sponda del più inviso della toghe: il Cavaliere. Quello per definizione.
Eccolo dunque Re Giorgio che, dopo aver indossato tutte le armature, attraversato ogni pagina di storia, per tramite dell’Aldullo commenta con il suo consueto stile super partes le tensioni attorno al referendum Costituzionale.

Grazie alla bombarda dell’Aldullo, Re Giorgio non conosce pensione, né penombra. La sua mano arriva ovunque, fin dentro l’agone. Ogni imperatore ha il suo pesce preferito. I Re barbari del Nord ebbero il Trota. Giorgio ha il grullo. Quello di Firenze. E per tramite del grullo, Re Giorgio intende quindi sfasciare la Costituzione.
All’Aldullo il compito di stendere il velo di vaselina sulle pagine del Corsera perché gli italiani prendano la notizia senza troppo dolore.

Ecco io, dentro al salone di una festa che non mi apparteneva, mi sentivo come il medico Fridolin tra le vie di Vienna. A ogni tavolo non vedevo che uomini in maschera, il loro stesso volto. Intorno a loro, cortigiane di tutte le età. Le più giovani erano magnifiche penne su gambe stilografiche e sederi a calamaio, con tanto di seni che, spingendo da dentro vestitini che erano ebook, sembravano matite appuntite da poco temperate.
I camerieri andavano e venivano carichi di vassoi con tartine e calici di vino, inchiostro simpatico su sorrisi di denti e mai di occhi.

L’Aldullo fiero, in sella del suo ronzino al passo, decantava dalle feritoie dell’elmo, con tanto di giummo buttato all’indietro, la sua intervista a Re Giorgio come un bardo del Sussex, intervallandola con passi della sua ultima fatica: il capolavoro neo-melodico “Non Piangete”.
Gli occhi degli uomini che l’ascoltavano erano gonfi come la loro postura. Fuori dalle orbite per il troppo guardare, mostravano capillari che non reggevano la chimica depravata dagli aperitivi. Alcuni occhialuti, altri spelacchiati, non facevano che soppesarsi occhiata dopo occhiata.

Fu allora che un avventore mezzo ubriaco, giusto a un ipad di distanza dall’Aldullo, si sentì in dovere di replicare. Fu un prrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr interminabile, ovvero un pirito. Ed ecco che una signora attempata, scoppiando in un’incontenibile risata di fronte all’emissione sibilante e incontrollata dall’ugello sonico, prese con la mano l’esterno dell’armatura che cingeva il piede del Cavalier Aldullo e lo spinse fuori dalla staffa. L’Aldullo, preso a tradimento, se ne cadde gambe all’aria in un crepitare di latta arrugginita. Ecco la fine della Costituzione Italiana.

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