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Che succede tra Google, Unione europea e Italia?

“L’Unione europea ha il compito di garantire la libertà di concorrenza”. Solo in questo modo si può “garantire l’innovazione necessaria alla crescita della nostra economia”. Queste parole pronunciate da Margrethe Vestager, Commissario Ue alla Concorrenza, fissano uno dei principi basilari che l’Unione è chiamata a tutelare.

Libertà di concorrenza e tutela dei consumatori si traducono in calo dei prezzi e una scelta più ampia per tutti i cittadini dell’Unione europea. Inoltre, costituiscono la base per la creazione di un mercato del digitale aperto anche all’imprenditoria europea.

Due esempi valgono per tutti. Il costo delle telefonate in Europa si è ridotto moltissimo rispetto a dieci anni fa, così come famiglie e imprese sono oggi in grado di scegliere il proprio fornitore di energia elettrica e gas.

Il 20 aprile scorso la Ue ha chiuso un’indagine su Google sostenendo che le sue pratiche nell’“Internet search”, nei sistemi operativi mobili (Android) e nella gestione dell’app store legato al sistema operativo, sono contrarie al diritto europeo in termini di libera concorrenza. Nello ‘statement of objections’ presentato da Vestager si accusa la multinazionale Usa di promuovere i suoi prodotti alle spese della concorrenza, costringendo le società che producono smartphone e che vogliono installare il sistema operativo Android a installare anche le app di Google. Secondo l’azienda Usa invece, “Android è un software open source basato sull’innovazione aperta”.

L’Unione, già in passato, ha vigilato con severità sulla libera concorrenza. Basti citare i due casi che hanno riguardato Microsoft (per insufficiente libertà di scelta del web browser e abuso di posizione dominante) e Intel (sanzionata nel 2014 per monopolio di mercato in un tipo di processori molto diffusi). Vista la posizione di mercato dominante sarà probabi​l​mente necessario definire dei rimedi strutturali, come è stato nel passato con le aziende di telecomunicazioni, Microsoft o altri player in condizioni similari. I risultati di tali rimedi li vediamo ogni giorno, visto che tali mercati sono oggi concorrenziali.

La Ue ha il dovere di vigilare sul pluralismo del mercato attraverso il quale si stabilisce un livello equo di competizione. Solo se le regole sono uguali per tutti, sarà possibile che nascano nuove grandi aziende tecnologiche. Quello delle nuove tecnologie è un settore particolarmente complesso e delicato dove alle enormi opportunità vanno accompagnati massici investimenti in ricerca e tecnologia.

Google è già presente su circa il 90% del mercato degli smartphone grazie ad Android e conseguentemente domina il mercato delle app, domina nel mercato delle ricerche online (che sono alla base della profilazione per la vendita di pubblicità) nonché su quello dei video con Youtube. Questa presenza massiccia consente all’azienda di Mountain View di detenere la quota principale del mercato della pubblicità online.

Pensando ai numeri incredibili che tutto questo produce, non possiamo non affrontare il tema dei rapporti tra le grandi imprese dell’hi-tech e le agenzie fiscali europee.

Siamo in attesa della determinazione di una regolazione europea e i singoli stati si muovono in ordine sparso. Google verserà al fisco britannico 130 milioni di sterline. Cifra ritenuta troppo esigua da molti osservatori per le somme dovute dal 2005. La Francia ha scelto una strada diversa e avrebbe chiesto a Google 1,6 miliardi di euro di tasse non pagate. E l’Italia? Tra contestazioni di Fisco e magistratura, e i mancati accordi rifiutati dalla società, non è chiaro quale sia la posizione del nostro governo.


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