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Cosa penso della nuova Costituzione e dell’economia asfittica

libertà

Proseguiamo nell’analisi del referendum sulla Costituzione modificata da Renzi. Nella seconda scena della narrazione intitolata Diritto e potere, abbiamo accennato ai provvedimenti che si trovano nel testo sottoposto al popolo italiano: cerchiamo di riprendere da lì. Una delle parole d’ordine che il trio boschirenziverdini ripete a manovella è “semplificazione politica all’insegna della realizzazione della governabilità e dl vero bipolarismo”. Ma non è vero. Infatti il binomio Italicum/ Revisione Costituzione, porterà ad un partito della nazione ballerino con un parlamento composto da una camera di nominati dai partiti che come un caleidoscopio si formeranno a seconda dell’impavido opportunismo  di una maggioranza e un para/Senato.

La distanza fra il monocameralismo e il bicameralismo con il Senato trasformato in camera di regioni discreditate è evidentemente una scelta che pagheremo con un pasticcio nell’attività legislativa del paese e di immobilismo di sviluppo dello stesso. L’Italicum impedisce  la competizione fra coalizioni al primo turno e proibisce gli apparentamento al ballottaggio: così  al primo turno vi sarà una insalata russa di liste che con la soglia del 3%, mireranno semplicemente a conquistare qualche seggio e al  ballottaggio i due partiti/liste rimasti in campo si cercheranno alleati che troveranno  attraverso la compra/vendita di  strapuntini.

Le preferenze così si distribuiranno su tre poli. PD, 5Stelle, orfani della destra. Chi vincerà sottometterà con il ricatto. Così deve essere chiaro che non si costruisce un bipolarismo ma un inciucismo dittatoriale. La dittatura dunque è la forma di governo che verrà fuori da quanto hanno cambiato e dal chiaro ridimensionamento  dei poteri del Presidente della Repubblica. Mattarella o chi per lui non dovrà più nominare il Presidente del Consiglio, che sarà automaticamente il capo del partito che avrà ottenuto il premio di maggioranza, e non potrà più opporsi allo scioglimento del Parlamento quando quel capo di maggioranza lo riterrà opportuno e benefico per i suoi interessi di partito. Vediamo allora di ritornare a palla sulle ragioni che ci mantengono lucidamente dissidenti.

I giornali quasi tutti renziani continuano a giudicare positiva una congiuntura che ci vede crescere della metà della media euro e di un terzo della pur instabile Spagna, esattamente  arrancando non solo nel settore manifatturiero dietro la Gran Bretagna, Germania, Francia, dove siamo in coda su orario produttività e costo del lavoro.  E  sempre i mass media e i pupilli della comunicazione fasulla si sbracciano nell’evocare il sole dell’avvenire sulla rivoluzione  industria 4.0 quando, signori miei, ricordiamoci bene,  stiamo parlando di epoche di rivoluzione industriale: 1-meccanizzazione, 2-industrializzzazione, 3automatizzazione ,4 – ora – dunque di digitalizzazione.

Ma stiamo prendendoci in giro? Il contesto internazionale cambia uniformemente per tutti, ma l’Italia cresce sempre meno degli altri, siamo in una situazione di stagnazione-deflazione, di una mancanza di politica economica peraltro evidentemente sbagliate, con il debito pubblico di 2.229 miliardi il nuovo record storico, e non serve chiedere sui vincoli europei qualche decimale di flessibilità. Non possiamo  correre dietro a questioni politiche interne, perché se andiamo a studiare o più semplicemente a leggere i dati sul nostro export  vediamo con certezza  che è frenato dai paesi “emergenti”. Il nostro export extra europeo in questo trimestre è il peggiore dal 2009, con 2,3 miliardi di minori incassi. Le crisi in Brasile e in Cina e in Nord Africa con i migranti e i rapporti con la Russia, la brexit della Gran Bretagna bloccano gli interscambi commerciali che abbiamo,e la produzione industriale dell’eurozona a marzo cala di 8 decimi (contro aspettative di crescita piatta), mentre quella di febbraio è stata ribassata da meno 0,8% a -1,2. Il saldo degli investimenti esteri in Italia è  sceso dai quasi 13 miliardi del 2014 ai 2,4 del 2015 e non dà segni di recupero. La politica consiste nella capacità di creare le condizioni per le riforme. Insomma  gli investimenti produttivi e la crescita sono la priorità non la campagna elettorale.


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