Matteo Renzi e Maria Elena Boschi hanno dato il via alla campagna referendaria di ottobre per il sì in due città diverse. Lui a Bergamo, lei a Reggio Emilia.
Le cronache giornalistiche e televisive hanno evidenziato che sia il giovane toscano che la ministra coetanea hanno evocato due persone che nella storia del Pci hanno avuto un ruolo dominante: Enrico Berlinguer e Nilde Iotti. Ma tirare per la giacchetta (da morti) questi miti non ha reso onore a nessuno dei due membri della coppia più scalpitante del momento. Basta documentarsi un po’ e viene fuori la vera storia di Berlinguer e Iotti in un contesto di fine anni Ottanta molto curioso. Berlinguer e Iotti sono stati, sebbene in tempi diversi, ma eguali per stile e valori, due convinti sostenitori – e Leonilde, detta Nilde, in persona, in qualità di madre costituente – di una modifica della Carta, ma in un percorso sicuramente bicamerale. Cosa che, come ben sappiamo, non accade oggi.
L’Enrico, stimato dal suo popolo per il coraggio innovatore nel rivisitare il partito ancora troppo vetero filo-sovietico, sappiamo bene che teorizzò l’abolizione del Senato e la diminuzione dei parlamentari, in tempi in cui i socialisti e i democristiani dominavano la scena, soprattutto per rilanciare un partito in declino. Ma fu proprio Iotti, robusta figura di garanzia istituzionale, in quanto Presidente della Camera, che modificò la posizione dell’intero Pci, immaginando un percorso equilibrato – appunto costituente – in cui il Senato diventasse una camera delle Regioni e il Parlamento fosse coinvolto con il rispetto che si deve a chi rappresenta – eletto però – il popolo italiano. Non il pasticcio che ci troviamo di fronte oggi.
Se si fosse percorsa la via della costituente parlamentare, il tema serio e decisivo come quello della vita del Paese e di un cambiamento della Carta per una governabilità stabile sarebbe stato realizzato. Questo governo, al contrario, ha strattonato la Costituzione Italiana in 40 articoli, disegnando confusamente un Senato che non si capisce come sarà formato, che competenze avrà e che razza di salvacondotto – detta pomposamente immunità – avranno i suoi componenti, per lo più come aggravante, tutti in cravatta. Alla faccia della parità.
Si crea con questa proposta di legge un mostro che divide il popolo italiano, con una Camera delle Autonomie che sarà un doppione dell’attuale Conferenza Stato Regioni, già di per sé complicata nel ruolo di funzione istituzionale, che annienta però l’autonomia delle Regioni ordinarie, gli toglie le risorse, ma contemporaneamente e schizofrenicamente gli assegna competenza esclusiva in materia di industria, artigianato, e rafforza quelle a statuto speciale che, si sa, sono bacini incontrollati di sprechi.
Dunque il dannato Titolo V partorito dalla pessima Legge Bassanini, che ci è costata e ci costa uno sfondamento sistematico della spesa pubblica, e dunque l’aggravamento del debito pubblico, continua e continuerà a straripare con i dipendenti delle ex province, nascosti nei sottoscala, ma pur sempre retribuiti, con una Europa indebolita – balbettante – che rimanda i conti di bilancio italiano al 2017.
Brutta partenza per una campagna elettorale.