Werner Faymann, il cancelliere austriaco e capo dell’SPÖ, si è dimesso ieri da tutte le cariche politiche. Una mossa a sorpresa che pone il partito di fronte a incognite pericolosissime: potrebbe spaccarsi, cadere ancora più in basso nei sondaggi, finire per annullarsi. Perché a ben vedere Faymann era solo la punta di un problema grande e pericoloso come un iceberg.
Faymann si è tolto una soddisfazione, perché non voleva essere una “lame duck” come scrive il quotidiano austriaco Der Standard. Di umiliazioni ne aveva abbastanza. Prima l’esito disastroso delle presidenziali, con il candidato socialdemocratico che era riuscito a ottenere giusto l’11 per cento dei voti, mentre quello nazional populista dell’FPÖ si era piazzato primo con il 36,4 per cento dei voti e ora disputerà il ballottaggio con Alexander Van der Bellen (ex capo dei Verdi). Non passava giorno che qualche compagno non lo sollecitasse a fare un passo indietro. Poi c’erano stati i fischi e le grida “traditore” domenica 1 maggio. E così ieri, in conferenza stampa, ha dichiarato: “In tempi simili non basta avere la maggioranza dietro di sé, bisogna avere il sostegno di tutti”.
La decisione di andarsene in un momento così cruciale per il Paese, con un partito nazional populista sempre più forte, non ha però messo solo a nudo le contraddizioni interne all’SPÖ. Ha messo svelato anche la debolezza del sistema politico austriaco, come scrive la Süddeutsche Zeitung: un sistema dominato dal dopoguerra a oggi dalla grande coalizione, dalla spartizione del potere (politico, economico, amministrativo) tra due partiti, quello socialdemocratico e quello popolare (ÖVP). E un elettorato sempre più scontento: tanto che anche i popolari sono crollati al venti per cento dei sondaggi.
I due temi che stanno da mesi agitando i socialdemocratici, e più in generale il Paese intero, è come rapportarsi all’FPÖ sempre più forte e come gestire la crisi dei profughi. Faymann aveva scelto di stare a metà del guado. Prima sostenendo il corso dell’accoglienza di Angela Merkel, poi quello della chiusura, dell’inasprimento del diritto d’asilo, del contingente di 37.500 profughi all’anno, della chiusura della rotta balcanica, della barriera d’ingresso al Brennero. Un “lavoro sporco” lasciato fare ai partner di coalizione popolari, all’ex ministro dell’Interno Johanna Mikl-Leitner e a quello degli Esteri Sebastian Kurz.
L’ala sinistra del partito gliel’aveva giurata, già prima delle presidenziali. Quella più conservatrice, voleva e vuole invece un avvicinamento alla FPÖ: in fondo è quello il partito nel quale hanno trovato una nuova casa i lavoratori che un tempo votavano in massa i socialdemocratici. Il governatore del Burgenland, la regione più orientale che confina con l’Ungheria, ha messo in piedi una coalizione con i populisti, ignorando una direttiva del partito del 2014, che escludeva questa alleanza. Faymann, come scrive lo Standard, non aveva più il controllo del partito.
Già ma cosa succederà ora in Austria? Una domanda che ci si pone anche a Bruxelles. Sarà la prossima Ungheria, con un capo di Stato, e chissà, in un futuro non troppo lontano, anche un capo del governo FPÖ, partito dichiaratamente contro l’accoglienza dei profughi, sostenitore di poteri decisamente più forti in capo al cancelliere (e se possibile l’accorpamento del suo ruolo con quello del capo di Stato)? Al momento la guida del governo è stata affidata al vicecancelliere e capo dell’Övp Reinhold Mitterlehner. I socialdemocratici dovrebbe designare il nuovo leader e cancelliere nel corso della prossima settimana.
Come scriveva Die Presse: “Il partito si è sbarazzato del suo leader sempre meno amato, ma non per questo troverà presto pace”. Un giudizio condiviso anche da molti commenti sui social network. Il sindaco socialista di Salisburgo scriveva: “La dipartita di Faymann è un primo passo, ma non risponde alle molte domande sul tavolo”. Anche la leader dei giovani socialdemocratici Julia Herr vuole che alle dimissioni di Faymann segua un cambio radicale dei contenuti e nell’organizzazione del partito.
I due candidati più quotati a succedere a Faymann sono Christian Kern e Gerhard Zeiler: due manager in posizioni di rilievo. Kern è attualmente a capo delle ÖBB, le ferrovie austriache. Secondo Die Presse potrebbe mediare tra l’ala “refugees welcome” e i sostenitori di un riformismo liberista. Il suo vantaggio è quello di non essere un tipico apparatchik, ma di essersi fatto strada nel mondo economico. Un po’ “stile Renzi”, dunque utile per svecchiare il partito (anche se Kern di anni ne ha 50). Zeiler è stato portavoce ministeriale, poi del sindaco di Vienna Franz Vranitzky, prima di intraprendere una carriera nella televisione pubblica austriaca, poi in quella privata tedesca. Oggi presiede la Turner Broadcasting System (della quale fa parte anche la CNN). Di lui, che attualmente vive a Londra, non si conoscono le posizioni riguardo ai rapporti da tenere nei confronti dell’FPÖ e su come gestire crisi dei profughi, ma è il candidato preferito di Michael Häuptl, potente sindaco di Vienna e ora capo ad interim dell’SPÖ. La maggioranza degli altri leader regionali darebbe, invece, volentieri una chance a Kern. Stando però a quel che scrive sempre Die Presse, Häuptl non mollerà finché non vedrà vincere il suo candidato.
Ma anche allora la partita non sarà chiusa. Primo perché nessuno dei due candidati risponde ai desiderata dell’ala più di sinistra. Come si leggeva ieri nelle Salzburger Nachrichten non sono stati gli elettori a disarcionare Faymann, ma il partito. E poi c’è il partner di governo. I popolari hanno fatto sapere che chiunque verrà designato cancelliere, dovrà attenersi alla linea politica decisa insieme a Faymann sui profughi. Così non stupisce che Häupl abbia detto che a suo avviso questa legislatura non arriverà a scadenza naturale, cioè il 2018, ma massimo al 2017. Secondo la Süddeutsche Zeitung, invece, elezioni anticipate ci potrebbero essere già quest’anno. Se così fosse, l’Austria in versione ungherese non sarebbe probabilmente solo più una speculazione.